Zlatko Kaučič: un mistero ogni volta inspiegabile

Intervista a Zlatko Kaučič, percussionista, cittadino del confine, improvvisatore dalla voce unica e inconfondibile

Zlatko Kaucic
Articolo
jazz

Zlatko Kaučič ha messo lo zampino in circa ottanta dischi, con mille collaborazioni diverse; la polacca Not Two Records nel 2018 ha pubblicato un perfetto esempio della sua arte selvatica e torrenziale, un box quintuplo dove suona in solo e improvvisa in vari assetti, tra gli altri, con Evan Parker, Lotte Anker, Phil Minton.

Batterista e organizzatore generoso e instancabile, frequentatore di musicisti delle nostre parti come il contrabbassista Giovanni Maier (con cui condivide la conduction dell'Orchestra Senza Confini), il sassofonista Daniele D'Agaro o i flautisti Paolo Pascolo e Massimo De Mattia, Kaučič quest'anno è stato protagonista di almeno un disco tra i più belli della musica improvvisata.

Parliamo di The Steps That Resonate, in trio con Martin Küchen e Agustí Fernardez, pubblicato sempre dalla label di Cracovia. Animatore del Brda Contemporay music festival, cittadino del confine, fisico e metaforico, strumentista dalla voce unica e inconfondibile, coraggioso portatore di un'idea libera e senza compromessi che non rinuncia a pronunciare ad alta voce: ecco le sue parole.

Evan Parker e Zlatko Kaucic (foto Ziga Koritnik)
Evan Parker e Zlatko Kaucic (foto Ziga Koritnik)

Mi racconti come e quando hai cominciato a improvvisare?

«Avevo dodici anni quando ho cominciato a suonare ascoltando la radio: prendevo cucchiai e forchette e seguivo la musica della radio. Poi ho fatto una batteria di fusti di cartone Dash-Dixan che mia madre comprava in Italia. A sedici anni con i soldi della merenda ho acquistato una vera batteria cecoslovacca e ho iniziato a copiare la musica di Hendrix, Led Zeppelin e Uriah Heep. Il primo ingaggio arrivò a diciassette anni in Udine con il gruppo Upupa!».

«Avevo dodici anni quando ho cominciato a suonare ascoltando la radio: prendevo cucchiai e forchette e seguivo la musica della radio».

«Poi sono andato in Svizzera e ho conosciuto musicisti come Allen Blairman (batterista di Albert Ayler e Mal Waldron), poi a Zurigo Irene Schweizer e Peter Frei. Allen mi dava lezioni di bebop così ho cominciato a capire le forme, le tecniche: da lì è partito tutto».

Hai una storia di relazioni con musicisti che stanno sul confine italiano vicino alla tua Slovenia. Mi viene in mente ad esempio Massimo De Mattia. Sembra una zona molto interessante e viva.

«Sì è vero, ci sono tanti bravi musicisti in quella zona, cominciando proprio dal purtroppo sottovalutato Massimo De Mattia; ci sono Daniele D’Agaro e anche nuovi giovani come Flavio Zanuttini, Clarissa Durizzotto e Marco D’Orlando: sicuramente si parlerà di loro presto! Da non dimenticare poi il pianista Giorgio Pacorig».

«Il Friuli e tutta la zona di confine sono posti molto interessanti dove convergono culture diverse: abbiamo provato a farne incontrare alcune nell'orchestra a doppia conduction con Giovanni Maier, l'Orchestra Senza Confini. Purtroppo con questo progetto però non siamo riusciti a spingerci più a ovest (o a sud!) di Pordenone. Alla stragrande maggioranza degli organizzatori questo tipo di musica non interessa, ed è proprio per questo che tanti membri devono suonare musica più commerciale».

La scena slovena: musicisti che dobbiamo assolutamente conoscere secondo te?

«Ci sono tanti giovani, si spazia dal jazz classico a musiche diverse! Ecco alcuni nomi: Samo Šalamon, Jure Pukl, Tomaž Grom, Samo Kutin (anima dei bravissimi Širom), Jošt Drašler, Vid Drašler, Marko Črnčec, Boštjan Simon, Gal Furlan,Marko Lasič, Igor Bezget, Andrej Kobal. E potrei continuare».

Mi parli del festival che organizzi ogni anno a settembre? Si è da pochi mesi svolta l'ultima edizione.

«Il Festival BCMF (Brda Contemporay music festival) esiste già da dodici anni: abbiamo diverse difficoltà finanziarie ma ogni anno ci sono sono belle sorprese! Fondamentalmente ogni volta invito un musicista già affermato a tenere un workshop; poi ci sono concerti che vedono protagonisti molti giovani talenti da Slovenia e Friuli. Il budget a nostra disposizione è davvero basso ma nonostante questo la proposta è assolutamente di prima qualità! Nel programma inseriamo sempre poesia, danza ,improvvisazione, mostre di fotografie: nel corso del tempo abbiamo avuto con noi fantastici musicisti come Evan Parker, Phil Minton, Johanes Bauer, Joèlle Lèandre, Tristan Honsinger, Trevor Watts, Michael Moore, Gerry Hemingway».

Quando ascolto i tuoi dischi mi sembra di sentire un percussionista che suona come se stesse facendo un rituale antico, come se stesse convocando gli spiriti: qual è il tuo approccio allo strumento e al suono?

«Hai detto quasi tutto! Per me è importante essere aperti, sentire tutto che ci circonda, osservare la gente, in qualsiasi stato essa si trovi: questa per me è una cruciale fonte di inspirazione, ma lo è anche il caos! Quando suono mi devo sorprendere: solo così mi motivo ad andare avanti. Non mi piacciono le cose che devi ripetere. La musica improvvisata per me è un tesoro incredibile perché sei esposto, nudo».

«La musica improvvisata per me è un tesoro incredibile perché sei esposto, nudo».

«In gruppo, rispetto alla dimensione solista, c’è poi un'altra disciplina: a mio modo di vedere per acquisirla nel modo più raffinato possibile devi suonare tanti diversi stili di musica. Solo così ti arricchisci!».

Le tue prossime uscite? Sono in programma altri box come Diversity su Not Two Records?

«C’è una persona fantastica a Cracovia: Marek Winiarski, il patron di Not Two Records, che mi produce i dischi: gli sono molto grato. L'anno prossimo uscirà il cofanetto che abbiamo registrato l’anno scorso con tutte le stelle di Not Two (Barry Guy, Mats Gustafsson e tanti altri). Poi è in uscita per l'etichetta di Varsavia Fundacja Sluchaj un album del trio Disorder At The Border (io, Giovanni Maier e Daniele D'Agaro) con ospite Toby Delius».

Musicisti fondamentali nel tuo percorso di ascoltatore e poi anche di improvvisatore?

«Sono stati tanti, però questi mi hanno dato una spinta speciale in termini di motivazione e coraggio: Billy Higgins, che ho conosciuto a Lisbona, Steve Lacy, con cui ho inciso (The Golden Boat, 2002, Splasc(H) Records), così come Peter Brötzmann (Tolminski Punt, 2007, stessa label) e infine Paul Bley con cui ho avuto la fortuna di suonare».

Cosa cerchi nella musica quando suoni?

«Cerco me stesso: bellezza, caos, cose mai sentite, comunicazione. Voglio essere originale quanto più mi è possibile, sempre».

Da dove arriva la musica? Dalla pratica quotidiana, dall'ascolto, da qualche profondità che non sappiamo spiegare a parole?

«Parliamo di un un mistero che ogni volta resta inspiegabile; proprio per questo è così bello».

«Parliamo di un un mistero che ogni volta resta inspiegabile; proprio per questo è così bello».

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