Ritratto polifonico di un profeta corsaro
Al Teatro Comunale di Bolzano va in scena lo spettacolo PPP. Profeta Corsaro dedicato a Pier Paolo Pasolini nel centenario della nascita
“Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere o il calare del sole sui campi, tra i vecchi, … Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo”: sono le parole di Pier Paolo Pasolini, il biglietto da visita con il quale si apre PPP. Profeta Corsaro, spettacolo fra parole e musica coprodotto dall’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento e dal Teatro Stabile di Bolzano in occasione del centenario della nascita.
Si tratta di “affresco polifonico per voci di attori e orchestra”, secondo la definizione di Giorgio Battistelli, direttore artistico dell’orchestra e consulente musicale del progetto, nel quale cinque voci, quelle degli attori Marco Brinzi, Alex Cendron, Milutin Dapcevic, Gianluca Pantosti e Maria Pilar Perez Aspa, ricostruiscono i molteplici aspetti di una personalità di intellettuale complessa e a tratti contraddittoria attraverso un mosaico di testi e di frammenti poetici di Pasolini scelti e assemblati da Laura Perini e Leo Muscato, anche regista dello spettacolo, in un tessuto drammaturgico coerente con l’idea di far conoscere Pasolini alle generazioni più giovani.
Gli undici frammenti dagli Scritti corsari e i dodici dalle Lettere Luterane raccontano l’analisi, tagliente e dolorosa, della mutazione antropologica di un popolo che, recise le radici contadine, si trova omologato nella logica del consumismo. Raccontano anche le incomprensioni fra Pasolini e il più grande partito della sinistra e la tensione polemica nei confronti di intellettuali progressisti come Italo Calvino, che non condivide il suo rimpianto per la sua “Italietta contadina” e la critica del presente “che si volta indietro e non porta a niente”. “L’«Italietta» è piccolo-borghese, fascista, democristiana – gli risponde a mezzo stampa – è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Vuoi che rimpianga tutto questo?”.
Al fitto tessuto di parole, dette dai cinque attori, tutti vestiti con i tipici occhiali di Pasolini e i costumi anni ’70 di Margherita Baldoni, davanti a un sipario semitrasparente sul quale sono proiettate le immagini in bianco e nero dell’Italia pasoliniana (organizzate dal visual designer Luca Attili): si vedono foto, ritagli di giornale e, ovviamente, brevi sequenze dei suoi film Accattone, Mamma Roma e il finale di Cosa sono le nuvole?, che chiude lo spettacolo con il colpo d’ala della poesia. Poesia è il dialogo fra le due marionette di Otello e Jago (Ninetto Davoli e Totò), che guardano il cielo dalla discarica nella quale li ha buttati il “monnezzaro” Domenico Modugno cantando. “E quelle che so’?” “Quelle sono le nuvole” “E che so ‘ste nuvole? Quanto so’ belle! Quanto so’ belle!” “Ah! Straziante, meravigliosa bellezza del creato!”
A questo ritratto si aggiunge la dimensione emotiva affidata a musiche di epoche e umori molto diversi che si alternano alle parole di Pasolini. “Un poeta esigente e rigoroso con il proprio linguaggio ed estremamente attento alla comunicazione, un poeta che quando utilizzava una musica si rivolgeva al passato, si rivolgeva a Johann Sebastian Bach” spiega Battistelli, che proprio con Bach (con chi altro?) apre la sua personale antologia musicale pasoliniana, autore spesso impiegato anche come commento alle sue immagini filmiche: l’Offerta Musicale in re minore BWV 1079, ma anche la Fuga (ricercata) a sei voci, BWV 1079/5 nell’orchestrazione di Anton Webern. Tutte le altre appartengono al Novecento storico: c‘è il Charles Ives di The Unanswered Question, suggello enigmatico di un’epoca di misteri mai risolti, c’è l’Arvo Pärt di Fratres e il Samuel Barber dell’Adagio per orchestra d’archi, requiem laico per la morte violenta di un poeta. Sul palcoscenico dietro al sipario, l’esecuzione è affidata all’Orchestra Haydn diretta con precisione, competenza ed “esprit de service” da Marco Angius.
Pubblico non foltissimo ma attento e generoso di applausi. Dopo Bolzano, si replica a Merano, Bressanone e Trento.
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