Che i conti non tornassero nella discografia di Piero Ciampi lo si sapeva. Era noto alla cerchia di studiosi e appassionati che durante le registrazioni di Lucia Rango Show, pubblicato dalla Edizioni Discografiche Sibilla nel 1967, il cantautore livornese si fosse cimentato in un duetto rimasto inedito con la cantante, il primo e unico di una carriera declinata ostinatamente, disperatamente al singolare. Ma come l'araba fenice – che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa –, dei nastri di quelle sedute curate direttamente da Ciampi si erano perse le tracce. Spariti, volatilizzati; sprofondati nelle sabbie mobili del tempo, che di comportarsi da galantuomo a volte non ne vuole proprio sapere.
Fino a tre anni fa e all'idea di un'intervista. Direzione Calabria, sulle tracce della meteora Lucia Rango, uscita di scena senza rimpianti dopo quel memorabile passaggio in studio, e di notizie di prima mano su Piero da Livorno. L'intenzione di Lucilla Chiodi, giornalista e ricercatrice, è di rimettere in fila i perché e i percome di un disco dimenticato, nota a piè di pagina nel catalogo ciampiano eppure così coraggioso e singolare da meritare un'indagine approfondita (che nessuno fino a quel momento, nemmeno le vestali più ortodosse e territoriali, si era preso la briga di svolgere).
Quello che l'intervistatrice però non sa è che i nastri originali di Lucia Rango Show esistono eccome, e da più di mezzo secolo se ne stanno buoni buoni a prendere la polvere nelle segrete di casa Rango, in paziente attesa che qualcuno li srotoli e li ascolti. Sorpresa e giubilo! Anche perché in coda alle quattordici canzoni firmate da Ciampi, sei delle quali scritte per l'amica Lucia e registrate solo in quell'occasione, udite udite... spunta il duetto perduto, un fuori programma poi tagliato dalla scaletta. «Alla fine di quella sessione di registrazione - il racconto della Rango -, inaspettatamente a Piero venne voglia di cantare: non avevamo programmato di incidere una canzone insieme». C'è la voce di lui, quindi, e c'è la voce di lei; che in “Non chiedermi più”, pezzo già affidato qualche anno prima ai solchi di Piero Litaliano, l'album d'esordio di Ciampi datato 1963, si danno il cambio strofa dopo strofa lungo due minuti scarsi di un reperto sonoro dal valore immenso.
Fine del prologo e inizio della seconda parte della nostra storia. Che è quella di un progetto a ostacoli diventato realtà dopo tre anni abbondanti di dedizione e tenacia. Durante i quali, tra cavilli e imprevisti, problemi tecnici da risolvere e permessi da ottenere, Chiodi mette a fuoco l'idea che non solo il duetto meriti di essere fatto ascoltare al mondo, ma a tutto il disco vada offerta una seconda occasione. E qui entra in scena la Anni Luce di Andrea Marutti e Fabio Carboni (Die Schachtel), etichetta nata per scavare nell'epoca d'oro della musica italiana e che debutta proprio con Lucia Rango Show.
Una prima su Bandcamp da leccarsi le orecchie, con tanto di vinile in tiratura limitata corredato da una lunga intervista alla Rango, approfondimenti, fotografie d'epoca (semplicemente magnifiche) e tutto quello che si può desiderare da una ristampa confezionata come dio comanda anche dal punto di vista audio (merce rara, fidatevi).
Un recupero necessario e prezioso. Per il duetto ritrovato e per tanto altro: Lucia Rango Show, forte delle canzoni di Ciampi e delle orchestrazioni e degli arrangiamenti del maestro Elvio Monti (in studio anche I Cantori Moderni di Alessandro Alessandroni), è un piccolo grande saggio di pop all'italiana. Una perfetta guida al suono degli anni Sessanta che si apre con la bossa nova flautata di “Samba per un amore” e prosegue con l'altra “Non chiedermi più”, quella cantata solo dalla Rango, la cui voce sinuosa e un po' acerba, così calda e generosa negli slanci a tutto cuore, ha un che dell'ingenuità naif di Françoise Hardy ma con riflessi decisamente più sanguigni, proletari, quasi folk. Sentire per credere la bellissima “Il tuo volto”, forse il momento più alto dell'intera scaletta con il suo crescendo di coro e violini a incorniciare il ritornello (quanto era già imperante il modello Mina?). Ma c'è spazio anche per atmosfere più beat (“Stasera resta qui”, "E dai"), suggestioni da western di periferia ("L'angelo") e quadretti alla Bacharach (“Sono stanca”).
Di struggente intensità poi la rilettura delle canzoni che Ciampi aveva già fatto proprie su Piero Litaliano: “Fino all'ultimo minuto” (momento di straordinaria verità musicale grazie al prezioso lavoro di Monti, che alleggerisce i toni rispetto alla versione ufficiale), “Quando il giorno tornerà” (altro pezzo meraviglioso) e “Hai lasciato a casa il tuo sorriso”.
Insomma, c'è tantissimo da ascoltare in un disco che Piero da Livorno probabilmente visse come una sorta di rivincita, un tentativo di accreditarsi agli occhi di un mondo, quello dei circuiti ufficiali, dei palchi consacrati, che lo attraeva e lo disgustava allo stesso tempo. A maggior ragione dopo la tragedia Luigi Tenco (il disco è del maggio 1967, tre mesi dopo i fatti di Sanremo): una ferita lacerante e profonda – lo conferma anche la Rango nell'intervista contenuta nel libretto – che non si sarebbe mai del tutto rimarginata e che probabilmente segnò la fine dell'illusione di poter trovare un posto in mezzo a tutti gli altri.
Affidare a un'altra voce quelle canzoni, rinchiudersi in uno studio con un'orchestra, lavorare nelle vesti di autore a una scaletta fatta solo di originali, provare di nuovo a smarcarsi dalla fama di guaio ambulante, dallo stereotipo dello chansonnier maledetto che già l'aveva intrappolato, rappresentò l'ultimo, velleitario afflato di normalità.
Da lì in poi sarebbe stata tutta un'altra storia, e tutto un altro Ciampi.