Le Comte Ory inaugura il ROF mettendo insieme Rossini e Bosch
Un’esecuzione musicale di buon livello e una realizzazione scenica molto opinabile per l’unica opera comica francese del compositore pesarese
Una gigantesca riproduzione del Trittico delle delizie (il solo pannello di sinistra, per la precisione) di Hieronymus Bosch è la prima immagine che Hugo De Ana offre agli spettatori di Le Comte Ory. Anche in seguito l’immaginario di Bosch ispira il regista, scenografo e costumista argentino, perché alcuni degli esseri mostruosi che popolano i quadri di Bosch sono riprodotti tridimensionalmente e collocati sul palcoscenico come enormi statue. Perché? L’unica risposta che si può tentare di dare è che De Ana, tralasciando i complessi significati allegorici e gli incubi inquietanti delle invenzioni di Bosch, consideri la sua arte come un esempio di quella libertà fantastica, di quell’assenza di regole, di quel rifiuto della logica e del buon senso comune, che ritornerebbero anche in Rossini, almeno stando a una concezione critica ormai un po’ obsoleta, e che però nella sua musica si manifestano in modo totalmente diverso!
Se poi si passa a considerare la regia che De Ana stesso colloca sotto quelle immagini, ci si accorge che non ha nulla a che spartire con Bosch (e non è un problema) né con Rossini (e questo invece è molto discutibile). De Ana sembra non aver nemmeno letto il libretto e inventa una serie di azioni che non riflettono in nessun modo la vicenda che si svolge nell’opera, tutto è un non sense totale, mentre Le Comte Ory (che, ricordiamolo, è un’opera francese e non italiana) è inverosimile ma ha al suo fondo uno strato di umorismo frizzante e di equilibrio razionale tipicamente francesi e più precisamente parigini e non è un’invenzione scatenata e totalmente assurda come certe scene che l’opera buffa italiana e più precisamente napoletana prende dalla commedia dell’arte.
Per sollevare il pubblico dallo spaesamento e dalla depressione provocate dal bailamme insensato da lui inscenato e per strappargli qualche risata, De Ana peggiora ancora le cose, ricorrendo a trovate totalmente gratuite, come il gruppetto di dinosauri che compare alla fine del primo atto, e a gags di gusto vecchio e discutibile. Nel secondo atto però De Ana cambia almeno parzialmente strada, nel senso che rispetta i punti essenziali del libretto e dà modo di capire o intuire quel che la vicenda racconta.
Sotto l’aspetto musicale le cose vanno molto meglio. A dire il vero la direzione di Diego Matheuz è fluida vivace ma – se si va ad analizzarla un po’ più da vicino - anche piuttosto trascurata nei dettagli, poco interessata a valorizzare pienamente la raffinata orchestrazione di Rossini e poco attenta a non coprire i cantanti. Il protagonista è Juan Diego Flórez, da quest’anno anche direttore artistico del festival di Pesaro, i cui meriti come interprete delle opere serie di Rossini “son noti all’universo… e in altri siti” (chiedo venia per la citazione donizettiana fuori tema). Meno nota è la sua vis comica, che può essere spumeggiante e travolgente, ma che De Ana non valorizza al meglio. Che oggi, alla soglia dei cinquant’anni, la sua voce sia meno svettante negli acuti non è un male, perché in compenso è diventata più morbida e quindi più adatta allo stile di canto francese. La Contessa… pardon Comtesse è Julie Fuchs, un soprano leggero dalle agilità immacolate – talvolta leggermente meccaniche, ma questo è parte integrante di questo tipo di voci francesi - ma un po’ pallidina come interprete. Una gran bella sorpresa è la giovanissima russa Maria Kataeva, che è perfetta nel non facile ruolo en travesti di Isolier e sembra già pronta per ruoli ancor più impegnativi. A interpretare Raimbaud era il baritono Andrzej Filonczyk, anch’egli giovane ma non più una sorpresa, perché già si è conquistato un nome come cantante rossiniano. Bene anche il basso Nahuel Di Pierro nel ruolo del Gouverneur, particolarmente sacrificato dalla regia. Nel ruolo minore ma non minimo di Alice si è fatta positivamente conoscere un’altra giovane, Anna-Doris Capitelli. Merita una citazione a parte una cantante squisita come Monica Bacelli, un lusso nel ruolo di Ragonde.
A completare il bel livello della realizzazione musicale contribuivano l’Orchestra Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso col suo Maestro Giovanni Farina.
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