Un libro in arrivo: The Philosophy of Modern Song, che indagherà il meccanismo in base al quale certe canzoni “funzionano”, diventano popolari, restano conficcate bene in testa come chiodi in tenero legno. Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà. Se non che l'autore è uno che canzoni forti come chiodi d’acciaio, ma duttili come il rame – per possibilità di interpretazione – ne ha scritte alcune centinaia, da oltre un sessantennio, e all'anagrafe fa Robert Allen Zimmermann da Duluth, Minnesota, in arte Bob Dylan, premio nobel per la letteratura nel 2016.
Un nuovo tour partito agli inizi di marzo, e che dovrebbe chiudersi il 14 ad Oklahoma City: anche qui nulla di nuovo, se non che il protagonista potrebbe tranquillamente starsene a contemplare tramonti e quietare, visto che alla fine del 2020 ha ceduto i diritti editoriali sui testi dei suoi brani per una bazzecola di gruzzolo di svariate centinai di milioni di dollari.
E allora, la novità dov'è, a parte il fatto che Bob Dylan sembra vivere una misteriosa, inquietante terza o quarta giovinezza artistica? La novità sta da queste parti. Il musicista, poeta e scrittore popular più indagato del pianeta e meno afferrato fino in fondo è anche pittore e scultore. E che pittore e scultore, verrebbe da dire dopo aver visionato le sue opere, realizzate nell'arco di vari decenni.
La notizia è che è in corso a Miami (terminerà il 17 aprile) la più imponente retrospettiva che mai sia stata dedicata a Bob Dylan pittore (e scultore). Il tutto al Patricia & Philip Frost Art Museum.
Bob Dylan: Retrospectum non è certo la prima mostra dedicata alla meno indagato dei talenti di Dylan. Di sicuro è la più completa di sempre, e merita qualche ricognizione e precisazione, a cominciare dal fatto che per la prima volta è esposta una magnifica serie di dipinti, Deep Focus, che Dylan ha preparato ripercorrendo e trasfigurando scene da film che molto ha amato e che hanno contribuito ad arricchire quell'immaginario fertile riversato poi nelle mercuriali invenzioni linguistiche dei suoi testi.
Lui stesso ha precisato: «In realtà non associo i miei dipinti a momenti particolari o a particolari stati mentali, vedo il tutto come parte di un lungo arco di vita in cui si ricevono stimoli, e le nostre percezioni della realtà vengono via via forgiate e alterate dalla vita stessa. Perché uno può essere influenzato da qualcosa che ha visto a Morretes in Brasile, o dalla visione dell'uomo che vende il quotidiano El País per strada a Madrid».
«In realtà non associo i miei dipinti a momenti particolari o a particolari stati mentali, vedo il tutto come parte di un lungo arco di vita in cui si ricevono stimoli, e le nostre percezioni della realtà vengono via via forgiate e alterate dalla vita stessa».
Nella raccolta The Beaten Path si incontrano squarci urbani desolati e intensi, come in certe opere di Hopper, insegne di motel e di teatri, negozi, ferrovie, ponti, chioschi: una leggenda che forse è verità dice che Dylan, nelle tappe del suo “neverending tour”, ovunque sia, giri di notte dopo i concerti con la sua Nikon digitale, e fissi nei bit quanto poi andrà a riprodurre con l'acrilico sule tele.
I più attenti ricorderanno che già negli anni settanta del secolo scorso Dylan aveva firmato con i pennelli e le matite immagini di copertina: era successo con il magnifico Music From Big Pink, era successo con Selfportrait e Planet Waves. Una passione nata precoce, come quella per la musica, dai primi giri per musei a New York all'alba degli anni Sessanta con la fidanzata Suze Rotolo, poi indirizzata e stabilizzata dalle lezioni del maestro Norman Raeber.
Dylan non segue le mode e non insegue la contemporaneità: ammette tranquillamente di non apprezzare molte opere d’oggi. E suggerisce come colonna sonora per i suoi quadri di ascoltare note di Charlie Parker, di Blind Lemon Jefferson, di Clifford Brown. Blues e jazz, il doppio fondo nascosto delle sue canzoni, le passioni di una vita raccontate poi, in un catalogo infinito, nell’ultimo magistrale Rough and Rowdy Ways.
Poi c’è il Dylan scultore, e qui si avranno delle belle sorprese, alla mostra. Perché Dylan quando torna a Duluth si chiude nel suo studio che è poi una sorta di antro da fabbro, indossa maschera di protezione e saldatore, e mette assieme incredibili assemblaggi metallici in cui un cancello è incrostato di ferri di cavallo, di chiavi inglesi, pinze, molle, ingranaggi dentati. Uno dei suoi cancelli, pare, campeggia in una proprietà di Bill Clinton.
Dylan uno e trino. Molto laicamente, molto artisticamente.