Belgio pop: Charlotte Adijéry e il ritorno di Stromae

Africa, caraibi, electropop e rap per l'atteso ritorno di Stromae, e per il debutto di Charlotte Adigéry

Stromae
Stromae (foto Michael Ferire)
Articolo
pop

Il caso vuole che i dischi dei due artisti siano usciti in contemporanea: Topical Dancer è l’album d’esordio di Charlotte Adigéry in compagnia del suo collaboratore di lungo corso nonché amico Bolis Pupul, mentre Multitude è il terzo lavoro di Stromae, arrivato a nove anni di distanza dal precedente Racine Carrée.

Due album musicalmente diversi tra loro ma accomunati dal ruolo giocato dai testi, fondamentale nella loro riuscita artistica, e dalla provenienza degli autori, il Belgio. Come diceva il titolo di quel film? Dio esiste e vive a Bruxelles.

Topical Dancer

Charlotte Adigéry, nata a Narbonne, in Francia, ma cresciuta a Ghent, terza città più popolosa del Belgio, con origini nigeriane, martinicane e guadalupensi,  si era fatta conoscere dalle nostre parti nel 2019 con l’EP Zandoli, scritto e prodotto da Bolis Pupul – padre belga e madre cinese – e mixato da Stephen e David Dewaele, vale a dire il nucleo originario di Soulwax e 2manydjs. Il disco conteneva, tra gli altri, due brani che non potevano passare inosservati: il primo è “Cursed and Cussed”, una canzone ispirata da un immaginario omosessuale muscoloso abbigliato da cowboy in latex e ballerino in un nightclub di Berlino.

«Sembra che io abbia questa fissazione sessuale ma in realtà non è così. Non mi sembra proprio di avere un lato perverso: vorrei tanto averlo, mi ritengo invece una persona piuttosto noiosa» - Charlotte Adigéry in un’intervista concessa alla rivista Huck

Il secondo brano ha raggiunto una certa notorietà perché il regista Paolo Sorrentino l’ha inserito nel trailer della serie televisiva “The New Pope”: cantato in creolo, il brano s’intitola “Paténipat”.

Topical Dancer è un album fatto di canzoni che si stampano nel cervello mettendo insieme umorismo giocoso e temi importanti come il razzismo, il colonialismo e la misoginia, 13 episodi electropop che mischiano R&B, techno e french house, con testi in francese e inglese. Un disco molto fisico, che costringe a muoversi ma con le orecchie bene aperte perché il pop dei due è un veicolo per dire qualcosa, come nel brano “Blenda” – ispirato dalla lettura del libro di Reni Eddo-Lodge Why I’m Not Longer Talking To White People About Race –, dove si prende in giro la stupidità del razzismo («Go back to your country where you belong / Siri, can you tell me where I belong? Go back to the country where you belong / Siri, can you tell if the road is long?» e, più avanti, «I am here, because you were there») o nella deliziosa “Thank You”, canzone sarcastica sui consigli non richiesti che la gente è sempre pronta a rifilarti, definita dal New Yok Times «uno sfogo profondamente beffardo che, in un mondo migliore, distruggerebbe il paternalismo una volta per tutte».

Tra Talking Heads, Grace Jones, Prince, David Bowie, Yello e Giorgio Moroder, misoginia e razzismo, presunzione da social media, post-colonialismo e political correctness, Topical Dancer si rivela un disco divertente e intelligente.

«Il suo personaggio e i suoi testi sono stupefacenti: noi amiamo Stromae» - Charlotte Adijéry

Ringrazio Charlotte per l’assist che mi permette di scivolare quasi senza attrito dentro Multitude, il terzo album di Stromae, artista di madre belga e padre ruandese di etnia tutsi, morto nel 1994 durante il genocidio messo in atto in quel Paese.

«Fino a quando sarò in vita, io sarò imbattuto, sempre imbattuto», e poco prima «Sì, ho pagato il prezzo, faccio fatica a scriverlo e faccio fatica a dirlo, anche indebolito (in piedi), fino all’ultimo grido (ouh), puttana di una malattia»: comincia in questo modo, con la gloriosa ed emozionante “Invaincu”, Multitude, l’album che segna il ritorno di Stromae, la cui carriera artistica ha subito uno stop forzato quando nel 2015 decise di promuovere la sua musica in Africa.

Stromae

Prima di recarsi in Ruanda Stromae – il cui vero nome è Paul Van Haver – si sottopose a un trattamento antimalarico che segnò l'inizio di gravi problemi, tra cui crisi di panico e depressione, durati anni. Prima di questo episodio il cantante belga era diventato in pochi anni un vero e proprio fenomeno mondiale grazie ad alcune canzoni che avevano raggiunto il successo anche negli Stati Uniti: inizialmente fu "Alors on dance", ma è stato soprattutto il secondo album Racine Carrée, da cui sono stati estratti singoli come "Papaoutai", "Formidable" e "Tous les mêmes”, a dargli la fama internazionale e, per quanto riguarda l'Italia, il passaggio al Festival di Sanremo e il primo posto nelle classifica di vendite, evento raro per un francofono (fra chi ce la fece, ricordiamo appena Lio, Noir Désir, Moi Lolita e Caroline Loeb).

9 gennaio 2022, Stromae è ospite al telegiornale del primo canale della televisione francese: dopo due minuti di intervista, guardate come risponde a una domanda sulla sua malattia.

«Alle volte ho avuto pensieri suicidi e non ne vado fiero, alle volte si crede che sia la sola maniera per farli tacere, questi pensieri che ci fanno vivere un inferno, questi pensieri che mi fanno vivere un inferno» - L’Enfer

Multitude dunque: ed è proprio così, in questo disco siamo alle prese con una moltitudine di suoni, stili e temi, dodici canzoni piene di inventiva, con influenze electropop, reggaeton, hip-hop e quelle aficane dell’irresistibile “Mon Amour”, senza dimenticare la grande tradizione degli chansonnier francofoni, il belga Jacques Brel in testa.

“Santé” vede Stromae alzare un bicchiere per un brindisi di ringraziamento verso tutti coloro che un bicchiere in mano non l’hanno, tutti quei lavoratori, spesso non apprezzati e sotto-pagati, che hanno continuato a svolgere i loro lavori essenziali durante la pandemia.

In “Fils de joie” Stromae immagina di essere il figlio di una sex worker mentre “Déclaration” affronta il tema dei ruoli di genere nella genitorialità («è ancora preferibile essere un bastardo piuttosto che una sgualdrina»). Il primo brano è accompagnato da un video uscito il 7 marzo: bene, in una settimana è stato visto da quasi nove milioni di persone. Guardatelo e capirete il perché di tale successo.

È curiosa la decisione di chiudere il disco con due canzoni speculari ma di svolgimento opposto, “Mauvaise journée” e “Bonne journéè”: la prima parla della serialità delle giornate durante la malattia, «ancora una bella giornata di merda, come un giorno di reclusione, come un giorno di compleanno oltrepassata la sbarra dei trentacinque anni: seriamente, a che cazzo serve? Un po’ come me, tutti se ne fottono: quando non ci sarò più, saranno tristi? Riempi il mio bicchiere fino all’orlo perché è mezzo vuoto. Pessimista? Niente affatto. Hmm, aiutatemi, hmm, mi sento così solo, hmm, lasciatemi, è un mio diritto essere depresso nella mia poltrona», la seconda invece permette al disco di chiudersi in maniera quasi ottimistica, «fuori c’è il sole, e anche dentro, come un giorno di compleanno da zero a trentacinque anni, il mio stile è appariscente, non so neanche troppo come ho fatto, sono fresco come se avessi vent’anni. Tu sai cos’ho fatto? No? È indecente. Rido per niente, sorrido come uno stupido, la vita è come un biscotto in un giorno di libertà. No, grazie, il mio bicchiere è mezzo pieno. Ci sono i giorni no e quelli sì, a questo giro oggi sarà sì».

Sono passati dodici anni da quando “Alors on danse” invitò il mondo a occupare i dancefloor e mettere da parte le preoccupazioni; dodici anni dopo, la situazione generale è ulteriormente peggiorata ed ecco che Stromae non si tira indietro, è di nuovo qui per farci muovere. Stromae, t’es formidable!

 

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

pop

Una riflessione sulla vita di Quincy Jones, scomparso a 91 anni

pop

Che cosa non perdere (e qualche sorpresa) a C2C 2024, che inizia il 31 ottobre

pop

Fra jazz e pop, un'intervista con la musicista di base a Londra