Gabrielli sonorizza L'Inferno

Per Seeyousound a Torino la sonorizzazione di L'inferno (1911), composta da Enrico Gabrielli: l'intervista

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Per Seeyousound 2022 va in scena il 20 febbraio alle 18.30 la sonorizzazione live del film muto del 1911 L’inferno (di Bertolini, De Liguoro e Padovan). Il Collettivo SOUNDTRACKS 2021 suonerà una partitura originale creata dall’eclettico musicista e compositore Enrico Gabrielli, membro di Calibro 35 e Winstons, animatore dell'etichetta 19'40'', noto per le sue infinite collaborazioni in ambito indie italiano e per aver lavorato, tra gli altri, con PJ Harvey e Mike Patton.

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Abbiamo fatto una chiacchierata proprio con Enrico Gabrielli, per presentare il concerto e quello che può significare oggi fare una sonorizzazione di film.

«Il lavoro – racconta Gabrielli – mi è stato commissionato l’anno scorso da Corrado Nuccini, in veste di direttore artistico. L’inferno è il primo colossal di muto italiano, arriva tre anni prima di Cabiria, e tra effetti speciali, grande dispiego di mezzi e centinaia di comparse è veramente molto bello, a prescindere da qualsiasi sonorizzazione. Ho scritto il lavoro per l’ensemble del Centro Musicale di Modena con l’intenzione di suonarlo all’interno del Festival della Filosofia di Reggio Emilia. Io venivo da un’estate infernale in cui avevo scritto due colonne sonore per altrettanti film, che ora sono su Netflix, per cui sono passato da materiale di cassetta a un lavoro artisticamente più importante. A Torino suonerà la formazione originale di 8 elementi sulle mie partiture».

Trattandosi di partiture, quanto spazio è lasciato all’improvvisazione in eventi di questo tipo?

«Buona domanda. Diciamo che personalmente detesto vedere i musicisti approfittare della sonorizzazione di un film per farsi i cavoli loro, cosa che coi muti succede spesso. Questo film però ha una particolarità molto interessante: ha i cartelli inseriti esattamente a ogni cambio di scena, tutte le sequenze sono dei tableaux vivants, peraltro abbastanza fedeli a quanto scritto da Dante, e presentano precisamente quello che succederà. Questo ovviamente condiziona inevitabilmente anche la scrittura della sonorizzazione, che deve essere modulare, e usa molto la metamorfosi, passando da un’ambientazione all’altra con dei cambi progressivi, senza far percepire stacchi troppo bruschi».

«Personalmente detesto vedere i musicisti approfittare della sonorizzazione di un film per farsi i cavoli loro, cosa che coi muti succede spesso».

«Inoltre, siccome il film è bello e si regge benissimo senza colonna sonora, ho preferito evitare la scelta che poteva sembrare più ovvia, ovvero quella di scrivere musica pesante e crudele per affiancare immagini di quel genere. Ad esempio, gli 8 elementi (2 archi, vibrafono e batteria, chitarra, tastiera e fiati) non suonano mai tutti insieme – l’effetto di avere sempre tutti i musicisti all’opera è un’altra cosa che non amo affatto delle sonorizzazioni».

Pare quindi che scrivere musica per film stia diventando pratica sempre più diffusa…

«Credo che sia soprattutto una conseguenza della pandemia: molti musicisti della mia generazione hanno richieste per scrivere musica per formati audiovisivi. D’altronde se la gente non può uscire se ne sta a casa a guardare film; in altre parole, se la musica e i concerti si sono fermati, il cinema è andato avanti, basti vedere quante location torinesi ci sono state negli ultimi mesi. Di fatto, per quelli come me diventa un’opportunità di lavoro».

Ti piace questa riconversione, o la trovi limitante?

«Non c’è nulla che possa sostituire l’emozione di un live e il rapporto col pubblico. L’altro giorno abbiamo eseguito questa sonorizzazione con un altro ensemble al Silent Fest in Puglia, ed è stata un’esperienza meravigliosa, era tanto tempo che non vedevo così tanta gente. Ma al contempo ogni volta c’è un’incertezza su come potrà andare, se ci sarà gente motivata, se la città favorisce gli eventi o meno, se nasce un interesse… non ci sono garanzie. Per non dire poi di concerti di altro tipo, come quelli con i Calibro, in cui avere un pubblico contingentato e obbligatoriamente seduto non ha alcun senso… Anche i dischi ormai sono registrati a distanza, e viene a mancare l’interazione tra i musicisti, che è fondamentale».

E quindi, la solita conclusione: speriamo che questo stato di emergenza finisca presto e si possa fruire della musica dal vivo come musicisti e spettatori meriterebbero…

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