Alla scoperta dei quartetti di Šostakóvič
Iniziata alla Filarmonica Romana l’integrale di uno dei cicli di musica da camera più importanti e affascinanti del Novecento
Il primo concerto dell’Accademia Filarmonica Romana nel 2022 ha segnato il passaggio di consegne per quel che riguarda la direzione artistiche da Andrea Lucchesini ad Enrico Dindo e l’avvio dell’integrale dei quartetti di Dmítrij Šostakóvič, che verrà realizzata dal Quartetto Prometeo in sei concerti distribuiti in tre stagioni. Non vengono eseguiti frequentemente, tanto che anche un ascoltatore di lunga esperienza ben difficilmente ha avuto la possibilità di ascoltarli tutti (abbiamo notizia di un’altra sola integrale, a Bologna quattro anni fa) ed anzi è più che probabile che ne conosca solo una piccola parte. Eppure Šostakóvič è tra i compositori più eseguiti del ventesimo secolo e i quartetti (quindici come le sinfonie) sono uno dei capitoli più importanti del suo catalogo. Quindi questo progetto della Filarmonica è più che opportuno ed è anche coraggioso. E il coraggio è stato premiato da un afflusso di pubblico superiore alle aspettative - anche se il teatro Argentina non era pieno - e da un successo calorosissimo, cui il Quartetto Prometeo ha risposto con un Sibelius fuori programma.
Šostakóvič stesso affermò che è “profondamente sbagliato ritenere che nella musica da camera la dimensione delle idee e delle emozioni sia meno importante che negli altri generi”. In effetti i quartetti raccolgono i suoi pensieri più intimi e le sue meditazioni più profonde, mentre in molte delle sue sinfonie hanno maggior spazio gli aspetti pubblici e politici, anche perché erano più attenzionate dal regime sovietico, ai cui desiderata era rischioso non corrispondere.
Šostakóvič aveva trentadue anni quando iniziò a scrivere una pagina per quartetto d’archi, quasi come esercitazione in un genere considerato tra i più difficili, pensando che non ne sarebbe venuto fuori niente. Poi ci si appassionò e proseguì fino a comporre i quattro movimenti del Quartetto n. 1. Il suo esordio nel genere del quartetto, così come era avvenuto con la sinfonia, è un lavoro relativamente breve, disimpegnato, allegro e sereno (egli stesso lo definì “primaverile”). È un lavoro libero da ogni vincolo e preoccupazione e quindi è esente da quel sospetto di retorica e da quelle lungaggini percepibili talvolta in altre sue composizioni: si avverte qui la mano del grande musicista che si diverte a lavorare liberamente con le note, dando all’ascoltatore una sensazione gioiosa di armonia, nella doppia accezione musicale e spirituale del termine.
Non si avverte in questo primo quartetto del 1938 l’atmosfera pesantissima del periodo peggiore del terrore staliniano, mentre la tragedia della guerra segna il Quartetto n. 2 del 1944, che però è agli antipodi della iperdrammatica ma anche celebrativa Sinfonia n. 7. Alla tensione del primo movimento seguono l’angoscia e la desolazione del Recitativo e romanza, un lamento senza luce di speranza, in cui non si avverte l’arte (nel senso di mestiere) ma solo l’ispirazione. Poi un valzer strano, sbilenco, acido, alternativamente spettrale e rabbioso. Nel quarto movimento il vecchio e caro format del tema con variazioni subisce una trasformazione profonda: il tema non viene esposto subito ma soltanto dopo un’introduzione tormentata la viola sola propone il tema, semplice, spoglio e dal sapore vagamente popolare, che poi con variazioni sempre più radicali passa attraverso momenti di tristezza, di furore, di violenza ma anche di dolcezza, fino ad un’inattesa conclusione radiosa e solenne. Un quartetto di straordinaria potenza!
A questo punto si è capito che il viaggio nei quartetti di Šostakóvič è ancor più vario, interessante e pieno di scoperte di quel che si pensasse, come conferma l’ultimo brano in programma, il Quartetto n. 3, composto per essere eseguito dal leggendario Quartetto Beethoven nell’anniversario della nascita di Beethoven e forse per questo motivo accostato da qualche commentatore a Beethoven. Quest’accostamento può portare fuori strada, perché le differenze sono ovviamente enormi, eppure l’astrattezza della musica pura unita alla profondità del sentimento può effettivamente far pensare agli ultimi quartetti di Beethoven. Ma nel primo movimento è solamente e interamente di Šostakóvič l’allegria sfrontata e allo stesso tempo acidula al ritmo di una marcetta un po’ grottesca. Un po’ enigmatico (ma non nel senso di incomprensibile e astruso) l’umore dell’affascinante secondo movimento. Nel terzo riaffiora un ritmo di marcia, ma questa volta è una marcia militaresca, che ricorda il celeberrimo quarto movimento della Sinfonia n. 7 ma questa volta Šostakóvič è più sintetico, ma non meno coinvolgente. L’Adagio è una delle più alte espressioni di quei pensieri funerei che ritornano in alcune delle più importanti composizioni di Šostakóvič. Molto ampio lo spettro espressivo del quinto movimento, che nel suo articolato percorso rievoca e mette a contatto anche la vivace marcetta del primo movimento e il cupo lutto del quarto, ma il culmine è la conclusione, con la triste meditazione - quasi un pianto - del primo violino sul lungo accordo perfetto tenuto dagli altri tre.
Dopo questa prima puntata non si vorranno certo perdere le successive e dispiace un po’ dover aspettare fino a maggio per la seconda. Il merito non è solo di Šostakóvič ma anche del Quartetto Prometeo, che si è calato perfettamente nel mondo sonoro ed espressivo del compositore russo, rivelando quanto sia profondo e articolato e come trovare il giusto equilibrio tra i diversi e contraddittori aspetti sia complesso e delicato. Il Prometeo è così confermato come uno dei migliori quartetti italiani, e non soltanto italiani, nel campo della musica moderna e contemporanea.