Gilda va verso la luce
Riproposto dal 19 ottobre al Teatro del Maggio il Rigoletto già diffuso in streaming a febbraio
Come la Traviata riambientata nel Maggio francese, di cui abbiamo già dato notizia, c’è una ricollocazione che parrebbe peregrina, ma che poi, dal vivo, funziona bene, anche per questo Rigoletto, con cui Davide Livermore con il suo team (Giò Forma, Gianluca Falaschi, Antonio Castro, D-wok per scene, costumi, luci e video) prosegue a Firenze la sua rilettura della Trilogia Popolare verdiana. Diciamo “prosegue” ma, in realtà, lo spettacolo era già stato dato in streaming.
Stavolta siamo negli USA del proibizionismo e dei gangster: il Duca è un boss, il tugurio di Sparafucile un locale clandestino di lusso, la casa di Rigoletto è una lavanderia, Maddalena sembra una vamp del muto, anzi Rita Hayworth in Gilda, invece del Mincio c’è un binario e vediamo passare un treno. Abbiamo già dato, verrebbe fatto di dire. Ma anche stavolta, come nella Traviata, gli incroci fra suggestioni visuali, movimenti, ritmi scenici, riescono convincenti, qualche volta affascinanti, pensiamo alle file dei vestiti che nella lavanderia di Rigoletto si alzano e si abbassano come fantasmi, o alle proiezioni sullo sfondo di particolari della pittura sei-settecentesca, solo apparentemente incongrui. E come in Traviata, alla fine, è la morta spoglia di Gilda a restare a terra, in scena, mentre la sua anima si avvia verso un orizzonte di luce, come a voler sottolineare il nesso degradazione-morte-sublimazione già presente in Traviata. Uno spettacolo, questo di Livermore, non meno sontuoso e complesso della sua Traviata, che pare voler celebrare il ritorno alla vita teatrale in un teatro finalmente pieno.
Riccardo Frizza dirige con efficienza e calore l’orchestra, che è apparsa in buona forma alla pari del coro maschile istruito da Lorenzo Fratini. Non del tutto convincente il Rigoletto di Amartuvshin Enkhbat, che conferma le doti vocali e tecniche, il colore di baritono verdiano, che ce l’avevano fatto ammirare nella Forza del destino di qualche mese fa, ma resta alla superficie di un ruolo più complesso, il vertice del sublime-grottesco verdiano derivante dalla fonte, Victor Hugo, un ruolo che richiederebbe più maturità espressiva e molto più di partecipazione e approfondimento. Piero Pretti è un Duca sicuro, potente e svettante ma alquanto monocorde, adatto in effetti a un Duca boss, ma privo del fascino e delle preziose sfumature del Duca verdiano. Mariangela Sicilia, Gilda, ha qualche incertezza, forse denotante una transizione in corso a ruoli più drammatici, ma ci ha convinto in pieno per la ricchezza di delineazione del personaggio nella sua evoluzione. Molto brava e scenicamente convincente Caterina Piva come Maddalena, nel complesso efficiente il cast con Alessio Cacciamani (Sparafucile), Valentina Corò (Giovanna), Roman Lyulkin (Monterone), Francesco Samuele Venuti (Marullo), Antonio Garés (Borsa), Davide Piva (Ceprano), Marilena Ruta (la contessa di Ceprano), Caterina Meldolesi (il paggio), Amin Ahangaran (l’usciere di corte). Ottimo successo e purtroppo solo due le repliche.
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