I colori di Fano Jazz by the Sea
Vivace e variegato il cartellone 2021 del festival jazz di Fano, giunto alla sua a XXIX edizione
Giunto alla sua alla sua a XXIX edizione – e, come ha ricordato il direttore artistico Adriano Pedini presentando i diversi concerti, «la seconda dell’era Covid» – il festival Fano Jazz by the Sea 2021 ha confermato la fresca energia che segna un’identità ormai ben consolidata e nutrita di colori e suoni variegati e coinvolgenti.
Verde, tra musica e ambiente
Un caleidoscopio multiforme e variegato, capace di rinnovare anche in questo periodo complesso quel clima di partecipazione e impegnata leggerezza che si declina in maniera trasversale anche nell’ormai radicata connotazione “green”.
Nata in tempi non sospetti rispetto all’attuale tendenza al greenwashing, la vocazione a una sostenibilità attiva e consapevole è ben presente fin dal 2017, anno a partire dal quale all’interno del festival fanese ha preso forma il Jazz Village, allestito nell’area antistante la Rocca Malatestiana, luogo ideale per lo sviluppo del progetto Green Jazz, con cui questa manifestazione ha sposato la causa della sostenibilità e dell’ecologia, facendosi interprete della valorizzazione, promozione e diffusione del patrimonio artistico-culturale, ambientale, paesaggistico ed enogastronomico in chiave sostenibile, con l’adozione dei CAM (Criteri Ambientali Minimi).
Il Jazz Village – ritornato quest’anno ad essere vissuto e vitale dopo la sospensione per questioni di sicurezza della scorsa edizione – è quindi il cuore pulsante del festival, un luogo che accoglie info point, punti vendita, beverage improntato sul riuso dei bicchieri di plastica, oltre al significativo progetto Jazz For Kids che offre diverse attività didattiche rivolte ai più giovani come, per esempio, il Campus Musicale, concreta testimonianza di quanto il jazz sia un linguaggio capace di coinvolgere le nuove generazioni.
Giallo, tra sole e calore caraibico
Il sole, il suo colore e il suo calore sono tra gli elementi che connotano fatalmente la miscela identitaria di un festival che si offre alla fine di luglio “in riva al mare”, caratteri che sono stati idealmente declinati in salsa caraibica in occasione del concerto di apertura di questa edizione 2021, che ha visto protagonista sul Main Stage della Rocca Malatestiana venerdì 23 luglio la coppia Gonzalo Rubalcaba e Aymée Nuviola. Pianista ormai ampiamente conosciuto in differenti declinazioni e particolarmente avvezzo alla dimensione del duo – ricordiamo, per esempio, il dialogo con Chucho Valdes o quello con Stefano Bollani – Rubalcaba in questa occasione ha tratteggiato le sue personali geometrie pianistiche in una sorta di contrapposizione espressiva con la vocalità morbida e calda di Aymée Nuviola, cantante e attrice cubana con la quale il pianista ha realizzato Viento y Tiempo, recente album che prende il nome da un brano di Kelvis Ochoa. Una sorta di intima conversazione in musica in cui una naturale affinità di linguaggio è stata restituita attraverso due differenti sensibilità, emerse in modo particolare in brani celebri quali l’iniziale “Bésame mucho”, o ancora in “Dos gardenias” – titolo tra i più emblematici dell’operazione Buena Vista Social Club – dove le escursioni pianistiche ora più asciutte ora più dense di Rubalcaba hanno incorniciato la calda espressività con la quale Nuviola ha disegnato le diverse melodie.
Rosso, tra estetica ed energia
Sabato 24 luglio abbiamo seguito due concerti che hanno offerto una sorta di confronto – seppure su coordinate decisamente differenti – tra le diverse dimensioni nelle quali si può declinare il linguaggio jazzistico contemporaneo. All’ora dell’aperitivo sul palcoscenico dello Young Stage al Jazz Village la sassofonista Sophia Tomelleri – premio Massimo Urbani nel 2020 – ha proposto il suo progetto in quartetto che ha coinvolto Simone Daclon al piano, Alex Orciaria al contrabbasso e Pasquale Fiore alla batteria. Oltre al brano “Ballad for G”, dedicato al batterista Gianni Cazzola, sono stati proposti, tra gli altri, titoli quali “Fuori da Novara” (scritto da Daclon), “Sound Sleeper” o “Takeaways”, tutti tratti dal recente disco d’esordio These Things You Left Me. Nella restituzione dal vivo, oltre ad una buona affinità interpretativa tra i quattro musicisti, è emersa la solidità strumentale della Tomelleri attraversata da una sorta di compostezza virtuosistica estetizzante che segnava a tratti il carattere dei brani proposti.
Di tutt’altro segno la cifra musicale proposta da Tigran Hamasyan, impegnato a rilanciare dal Main Stage tutta l’energia della sua vena espressiva coadiuvato con altrettanta determinazione dal basso preciso e vivace di Evan Marien e dalla batteria a tratti oltremodo incalzante di Arthur Hnatek. Un concentrato di musica ispirata al lavoro discografico The Call Within, dal quale l’artista ha tatto una visione sonora composta ora da scarti timbrici impellenti, ora da successioni armonico-ritmiche dalle suggestioni “progressive”, ora ancora dilatata in tratteggi melodici dove il suo canto restituiva una personale rilettura di stilemi dal profumo popolare armeno. Una miscela dalla presa coinvolgente ed immediata, che offre lo stato dell’arte del percorso di questo artista capace di coltivare un significativo seguito anche tra un pubblico giovane, come ha dimostrato l’entusiasmo fatto registrare anche in questa occasione.
Blu, tra albe e spazi siderali
Il giorno seguente ci siamo tuffati nelle proposte musicali di Fano Jazz by the Sea fin dall’alba, quando Enzo Favata ci ha idealmente presi per mano e ci ha accompagnati in una sorta di esperienza semi-acusmatica, con il pubblico sparpagliato tra anfiteatro Rastatt e la spiaggia ad osservare il mare sulla linea dell’orizzonte aspettando il sorgere del sole, e il musicista sardo alle nostre spalle intento a tratteggiare con il suo sax evocativi sprazzi melodici, arricchiti da tappeti ritmico-elettronici morbidamente pulsanti, plasmati con gusto personale e attraversati da fraseggi dalle vaghe reminiscenze garbarekiane.
Più tardi lo Young Stage si è animato grazie alla vivace connotazione di Don Karate, progetto proposto da Stefano Tamborrino (batteria, elettronica) affiancato da Pasquale Mirra (vibrafono, synth) e Francesco Ponticelli (basso elettrico, synth). Accomunati da un’improbabile divisa animalier, i tre musicisti hanno proposto brani in cui la marcata impronta ritmica miscelava pattern a tratti coinvolgenti ad impasti elettronici dal sapore vagamente d’antan. Un panorama nel quale il vibrafono di Mirra è riuscito a offrire peregrinazioni solistiche spesso interessanti.
Un universo sonoro radicalmente differente è quello nel quale siamo stati catapultati in occasione del concerto successivo, che vedeva impegnata sul Main Stage la tromba siderale Nils Petter Molvaer. A diciassette anni dalla sua precedente presenza al festival marchigiano, il musicista norvegese ha riportato a Fano il suo nu jazz, rinnovando il fascino di un impasto sonoro la cui cifra virtuosistica non è tanto da ricercare nel dato prettamente strumentale, quando nella capacità di declinarne la personale espressività dilatandola in una sorta di cosmo timbrico fascinoso e cangiante. Un’alchimia capace di rapire l’ascoltatore e portarlo su piani espressivi “altri”, distillata con rodata affinità anche grazie al contributo di solidi musicisti quali Jo Berger Myhre al basso elettrico e Erland Dahlen alla batteria.
Arcobaleno, tra omaggi e spontaneità
Il concerto che abbiamo seguito lunedì 26 luglio ha visto salire sul Main Stage una formazione che comprendeva Brandon Lopez al contrabbasso, Chad Taylor alla batteria, Simone Padovani alle percussioni, James Brandon Lewis al sax tenore e Gianluca Petrella al trombone, guidati dal pianoforte di Giovanni Guidi nel progetto titolato Ojos e Gato, dedicato alla figura di Gato Barbieri.
Come è emerso anche dalle parole dello stesso Giovanni Guidi, restituite a più riprese nel corso della serata con coinvolta partecipazione, si è trattato di un viaggio attorno alla figura del sassofonista e compositore argentino riletto non tanto come virtuoso del suo strumento, quanto come artista capace di offrire una sintesi personale e illuminate delle differenti tensioni stilistiche.
Un approccio condiviso anche con il padre dello stesso Guidi – indimenticata figura di primo piamo del jazz italiano scomparsa a fine 2019 – e concretizzato nei dialoghi variegati intessuti dagli artisti coinvolti, qui impegnati a coniugare in una sintesi a tratti coinvolgente i diversi profili individuali, anche molto distanti tra loro. Un viaggio musicale concluso dallo stesso Giovanni Guidi con un solo pianistico che ha rievocato sia i colori dell’arcobaleno – con rimandi all’iconica “Over the Rainbow” – quale simbolo di emancipazione del movimento LGBT, sia quale ideale e spontaneo omaggio al tema della migrazione, ricordando la sezione del festival titolata Exodus.
Nero, tra classe e migrazioni
E proprio con il primo appuntamento della sezione Exodus Stage – Gli echi della migrazione è stata avviata l’ultima giornata che abbiamo seguito di questa edizione 2021 del festival di Fano e che ha visto impegnato il trombone di Filippo Vignato nel progetto solistico titolato All About Dreaming. Un percorso di ascolto riflessivo, quello proposto dal giovane musicista, che ha indagato il suo strumento nelle differenti declinazioni sonore, ora attraverso soluzioni timbrico-rumoristiche ora grazie a sequenze melodico-ritmiche reiterate, ora ancora dilatando note sospese in campate sonore immerse nel generoso riverbero della Pinacoteca San Domenico.
Il nostro percorso nel programma di Fano Jazz by the Sea 2021 si è concluso con il concerto del polistrumentista francese Michel Portal, affiancato da Bojan Z al pianoforte e Fender Rhodes, Julien Herné al basso elettrico e Stéphane Galland alla batteria. A ottantacinque anni il musicista francese è stato capace di restituire tutta la classe di un’ispirazione espressiva personale e inesausta, rievocata con stile inconfondibile attraverso composizioni quali, tra le altre, “Mino-Miro” – noto riferimento a Mino Cinelu e Miroslav Vitous – “Armenia”, e l’ironicamente autobiografica “Mister pharmacie”. Un percorso elegante e coinvolgente, tratteggiato con segno pregnante anche grazie all’affinità espressa dai dialoghi dei musicisti che hanno affiancato lo stesso Portal e suggellato infine da “Cuba Si, Cuba No”, brano proposto quale generoso bis dal musicista francese sulla scia dei calorosi applausi che hanno chiuso questo come gli altri concerti che abbiamo seguito.
Buon segno e bell’auspicio, in vista della trentesima edizione di Fano Jazz by the Sea.
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