Il nuovo progetto musicale di Salvador Sobral è un passo importante della sua carriera, perché ha scritto la musica e i testi, in collaborazione con Leo Aldrey, della maggior parte delle canzoni contenute nel disco bpm, uscito alla fine di maggio.
L’originale e raffinato interprete di canzoni scritte da sua sorella Luisa Sobral e da altri musicisti, ora si presenta per la prima volta come autore. Nel giro di pochissimi anni ha maturato esperienze di vita che definire intense è poco: l’en plein della vittoria dell’Eurovision Song Contest del 2017, il trapianto cardiaco, e più recentemente la guarigione dal contagio del coronavirus.
La matrice jazzistica che è alla base della sua poetica musicale gli consente di muoversi agevolmente fra lingue e repertori musicali diversi, e nella prima metà del 2020, folgorato dalla scoperta di Jacques Brel, gli ha reso omaggio con una serie di concerti dedicati alle sue canzoni.
Ora con il buonumore, l’ironia e il piacere di fare musica che lo contraddistinguono ha iniziato a presentare il proprio lavoro d’autore realizzato con la collaborazione di un eccellente gruppo di musicisti, costituto da André Rosinha (contrabbasso), Bruno Pedroso (batteria), André Santos (chitarra) Abe Rábade (piano) e Leo Aldrey (tastiere e ambienti sonori).
Dopo una serie di concerti in Portogallo, sarà in Italia a partire dal 28 luglio, a Roma nella Casa del Jazz per I Concerti nel Parco, e poi il 29 in Trentino nel Castello di Arco, in Umbria a Scheggino il 30, e in Sicilia, il 5 agosto a Castroreale e il 6 ad Agrigento.
Abbiamo intervistato Salvador Sobral, che ci ha raccontato il suo mondo musicale.
Hai cominciato a respirare musica in casa fin da piccolo.
«Sì, grazie a mio padre che è antiquario, ma suona per divertirsi, ama la musica in un modo organico e naturale senza compromessi. È il rapporto più sano che io abbia mai visto, ed è più musicista di molti musicisti. Non conosce la frustrazione, non deve pagare il conto con la musica. Adora l’arte, i mobili, gli oggetti è con la musica il suo è un rapporto d’amore».
Mentre tu ne hai conosciuto la frustrazione?
«Per forza. Quando mi siedo al piano e le cose non vengono fuori come quando canto… e poi c’è la frustrazione associata con ciò che comporta questo mestiere…»
Il dono di parlare diverse lingue viene invece da tua madre, che è stata interprete simultanea dal francese.
«Sì. Quando ero ancora in fasce mi portava nelle cabine di interpretariato della Fondazione Gulbenkian. Ho cominciato molto presto…»
Come sei arrivato a studiare musica in Spagna?
«Facendo l’Erasmus a Maiorca, perché volevo studiare psicologia dello sport, e lì c’era un ottimo dipartimento. In realtà non pensavo di dedicarmi alla musica perché avevo partecipato ad un programma televisivo, ma non mi piaceva come forma di intrattenimento. Avevo cominciato a cantare con un chitarrista maiorchino e alla fine ho lasciato le lezioni per fare sempre più concerti. Poi mia sorella, che è sempre molto saggia, mi ha detto "non continuerai mica a cantare nei bar di Maiorca per il resto della tua vita. Devi conoscere la musica, l’armonia, soprattutto per poi comporre le tue proprie musiche"».
«A Maiorca avevo un coinquilino italiano interessato al teatro, e decidemmo di trasferirci a Madrid o Barcellona per studiare. Alla fine optammo per la movida di Barcellona, e per due anni ho studiato jazz presso il Taller de Músics».
Nelle interviste citi spesso i Beatles e Chet Baker.
«Penso che nella concezione di una canzone i Beatles siano insuperabili. Sono stati il primo contatto che avuto con la musica durante nei viaggi in auto con mio padre. Lui come dicevo ama ogni genere di musica, e mi diceva ora fai attenzione alla linea di basso, e poi cantavamo insieme solo la linea di basso, oppure ecco ascolta le parole di "Norvegian Wood". Erano le lezioni di un uomo appassionato, e diceva a mia sorella adesso canta tu la voce di Lennon, ora di Paul, per poi farci distinguere i ritmi, gli strumenti. È stata una scuola importantissima».
«Quando ero a Maiorca, nel 2010/2011 cantavo molto Ray Charles, Stevie Wonder, e molto blues, musiche del passato. Un giorno un chitarrista argentino di jazz mi ha fatto ascoltare "But Not for Me" di Chet Baker. È stata una epifania emotiva, come se avessi aspettato la vita intera per ascoltare una cosa così. Non facevo altro che riascoltarla e penso che sia stata la mia porta d’entrata nel jazz».
Ma c’è anche qualche punto di riferimento musicale portoghese nella tua formazione.
«Il fado è sempre presente nel nostro animo, e anche se in modo involontario, una certa malinconia è qualcosa che ci appartiene. Per me crescendo è stato importante il gruppo portoghese Rio Grande, e poi Fausto, Antonio Zambujo…e naturalmente mia sorella Luisa Sobral. Mi piace molto B Fachada, ma è qualcosa che o si ama o si detesta, e non ci sono vie di mezzo. In ogni caso oggi la musica portoghese sta vivendo un momento molto felice».
Quando hai scoperto la tua particolare forma di vocalità, così ricca di sfumature ed emozioni?
«Credo che siano stati gli anni di studio vissuti a Barcellona, ed è il meglio che mi ha dato la scuola, cioè quello che volevo essere e diventare come musicista, e poi Silvia Perez Cruz, Caetano Veloso, Chet Baker e Billie Holiday, come in una grande pentola tutto si è mescolato… Ho tentato di scoprire in che modo potevo cantare senza sforzo, e quando scopri il tuo timbro la tua voce non ti fa male, e puoi anche cantare tre ore di seguito senza stancarti perché è la tua voce».
Hai già cantato in Italia?
«Sì in estate dell’anno scorso, qualche concerto e poi e in inverno, a Roma ma in streaming, senza pubblico. Mi piace molto l’Italia, e mi piace molto il cinema italiano. Guardo spesso le retrospettive. Ieri sera per esempio ho visto La ragazza con la valigia di Zurlini, e sono innamorato di De Sica, Fellini, Visconti e anche mia moglie mi ha aiutato a scoprire il cinema italiano, anche quello attuale, per esempio Dogman di Matteo Garrone».
Nel tuo ultimo disco bpm, (sigla che sta per battiti per minuto della pulsazione cardiaca) c’è una particolare ricerca e cura strumentale, e ambienti sonori differenti e originali. Sembra che tu voglia uscire dai confini della forma canzone pur allo stesso tempo rimanendovi.
«Non volevo che fosse una struttura completamente chiusa, come accade nel pop. Quello che mi interessa nella musica è l’elemento sorpresa. Per esempio in "That Old Waltz" a un certo punto c’è un interludio del pianoforte che arriva inaspettato. È come il passaggio di una vita intera, o di un viaggio».
«Ho scelto di andar via da Lisbona e registrare in un posto isolato in Francia per poter stare tutti insieme concentrati sulla musica per condividere con i musicisti tutto, dai pasti alle passeggiate nel bosco, e in questo tipo di musica l’intesa è molto importante. La sensazione di fraternità e di armonia è molto importante per poter realizzare una buona incisione».
«È stata la prima volta che mi sono avventurato nella composizione, ma farlo non è stato facile. Avevo bisogno di parlare delle angosce, dell’ansietà, dell’amore, e sentivo il bisogno di prendere le distanze anche dall’Eurovision Song Contest, e il trapianto. Solo ora riesco a parlare della paura della morte, come in "Medo de estimação"».
Anche nei versi delle canzoni sembri sconfinare tra allusioni e significati diversi, a volte obliqui.
«Fin da bambino sento le cose con molta intensità, e credevo che fosse dovuto alla mia malattia, ma non è così. Sono molto attento a tutto quello che sento e rifletto molto sulle sensazioni che provo. Quello che mi piace è cantare, ma il processo di composizione è razionale, e per i testi consulto anche dizionari, rimari, alla ricerca di sinonimi e assonanze. Il lato poetico e persino romantico è nell’atto di cantare…».
«Il lato poetico e persino romantico è nell’atto di cantare…».
Un divertente diario della registrazione del nuovo disco suddiviso in sei episodi si può vedere e ascoltare su Youtube e racconta meglio di ogni altra cosa il clima conviviale, le emozioni, le atmosfere e le piccole follie della sua registrazione.