Ascensori e musica. Cosa vi suggerisce questo abbinamento? “Musica da ascensore” si usa definire la musica strumentale, innocua e di sottofondo, che tiene compagnia nei nonluoghi (un bell’articolo sulla Muzak lo trovate qui).
Ma magari siete più affezionati al classico “Love in an Elevator” degli Aerosmith, alla psichedelia dei 13th Floor Elevator o, per restare a casa nostra, a “Un incontro in ascensore” di Alan Sorrenti o – se generazionalmente vi fosse capitata la sventura – “L’ascensore” di Ambra Angiolini.
Per quanto mi riguarda, magari vi farà ridere ma è così e spero apprezziate l’onestà, ogni volta che entro in un ascensore a marca OTIS, quando leggo quel nome sulla targhetta dorata della pulsantiera mi scatta automaticamente di pensare a Otis Redding e di canticchiarne mentalmente (oddio, spero mentalmente, magari anche mi scappa di farlo davvero) qualche canzone.
Ma chi era questo Otis che ha dato il nome a quella che Wikipedia definisce «la più grande produttrice di sistemi di trasporto verticale al mondo»? Con folta barba da filosofo e haircut da Giuseppe Verdi, Elisha Graves Otis è stato, alla metà dell’Ottocento, l’inventore del sistema di sicurezza alla base dei moderni sistemi di ascensore, il meccanismo – per intenderci – che blocca la caduta in caso di rottura della fune.
Con una dimostrazione degna dei migliori sideshow dell’epoca, il nostro Otis convinse tutti della bontà della propria invenzione durante la Exhibition of the Industry of All Nations al Crystal Palace di New York: dopo essersi fatto elevare sopra una piattaforma, diede ordine di tagliare la corda che reggeva il meccanismo, sotto gli occhi degli spettatori terrorizzati e elettrizzati. Il meccanismo di sicurezza fermò la piattaforma prima che si schiantasse, permettendo alla Otis di conquistare l’immenso mercato di quelli che tecnicamente si chiamano “elevatori a trazione”.
– Leggi anche: Økapi amore e furto
Alla figura di Otis e al mondo degli ascensori è dedicato ora il nuovo progetto di Økapi, artista e compositore romano che già dagli anni Novanta si è affermato come uno dei più talentuosi esponenti della plunderfonia, la straordinaria arte del taglia e cuci sonoro.
Otis. Vertical Tales in uscita in queste settimane si presenta sotto forma di libro, raccogliendo una selezione di lavori visuali di Økapi (molto belli) e un disco con 16 tracce che vanno dal “Ground Floor” al 15 piano. Partendo dall’idea di verticalità come possibile elusione dello scorrere del tempo, il musicista costruisce un mondo sospeso, fatto di presenze fantasmatiche, di percorribilità a doppio senso (sarà lo zeitgeist dell’anno di “Tenet”?), un magma di presenze che pulsa e plasma mondi.
Montando al contrario le testimonianze di ascensoristi e portieri, come quella di Joan, australiana che vive nel proprio ascensore, dialogando con le immagini, facendo baluginare ritmi e timbri, Økapi si distacca qui dall’evidenza della sua natura citazionista – non ci sono infatti i mondi campionati della fantastica Orchestra di Aldo Kapi che ha accompagnato le sue precedenti produzioni – per concentrarsi maggiormente sull’aspetto compositivo, ma è evidente che questa capacità di mescolare frammenti di differenti universi fornisce alla scrittura una profondità di dettaglio di rara accuratezza.
Dai guizzi malinconici di “3rd Floor” alla stupefacente iridescenza global del “13th Floor” (che è forse in assoluto tra le cose migliori mai prodotte da Økapi), si sale e si scende con i sensi dilatati, cogliendo bagliori, immaginando i percorsi evocati da alcune delle belle opere grafiche presenti nel libro, si è chiusi dentro un mondo, ma con un senso di libertà assoluta.
Lavoro che consacra l’unicità del musicista romano (lo avevamo intervistato qui) e la sua visionaria freschezza compositiva, che va ben oltre le abilità nel cut-up, Otis. Vertical Tales è un progetto che non ci si deve lasciar sfuggire (si spera in futuro anche in versione performativa).