Nel terrore e raccapriccio del rientro a scuola, nel pieno della prima pandemia globale dell’epoca postmoderna, sta facendo molto parlare nel settore musica un’indicazione del CTS, il Comitato tecnico-scientifico del Ministero, che vieterebbe il canto per ragioni di sicurezza.
Le reazioni sono state perlopiù sdegnate, anche perché evidentemente esacerbate da una disattenzione istituzionale nei confronti dell'"ora di musica" che risale a ben prima dell'emergenza sanitaria: «Sono orrificato» ha commentato il musicologo Paolo Isotta, mentre il tenore Vittorio Grigolo ha parlato di «decisione assurda». Dunque, dopo la distopia alla Footloose in cui è «vietato ballare», stiamo entrando in un nuovo film di fantascienza dove è anche vietato cantare?
In realtà no, e a leggere meglio le indicazioni del CTS non c’è di fatto alcun divieto.
«Nell’ambito della scuola primaria, per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. canto)».
Dunque – in sostanza – si può fare qualunque cosa purché con la mascherina, oppure bisogna evitare le «situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione». La vera vittima insomma non è tanto il canto quanto il flauto dolce, che si configura in effetti come una specie di AK-47 per i droplets infetti.
La vera vittima insomma non è tanto il canto quanto il flauto dolce, che si configura in effetti come una specie di AK-47 per i droplets infetti.
Con tutto che è ragionevole pensare che le soluzioni già adottate in molti Conservatori, che sostituiscono la mascherina con lunotti o box di plexiglass, possano essere messe in atto almeno nelle scuole musicali (e senza di fatto violare le direttive), perché non sfruttare l’occasione per ricordarsi che la didattica della musica non è solo canto, e che ci sono molte altre cose che si possono fare?
Dunque, tra il serio e il faceto, qualche idea alternativa per la musica delle scuole in un mondo senza canto.
1. Costruire strumenti musicali
Accantonato il letale flauto dolce, l’opportunità di passare a strumenti che permettano di mantenere dei rapporti di buon vicinato (vi è mai capitato di passare un lockdown nell’alloggio a fianco di uno studente che ripassa “L’inno alla Gioia”?) è da sfruttare senz’altro. Qualcuno in passato ha proposto il mandolino, molto divertente da suonare e pure, volendo, propedeutico al violino; oppure l’ukulele, che costa poco e dà soddisfazione immediata.
Se siete a casa, evitate i tamburi. Ricordate che alla porta accanto potrebbe esserci uno smartworker che sta cercando di concentrarsi (tratto da una storia vera).
C’è poi il mondo della costruzione di strumenti musicali, che molti docenti già frequentano: è da poco uscita la nuova edizione di Giocare con i suoni di Antonio Testa (Nomos 2020, 168 pp., 19,90€), splendido lavoro dedicato a «musica, natura e riciclo creativo». Il libro è consigliatissimo sia per gli insegnanti sia per i genitori che vogliono tentare qualcosa di diverso a casa. Con le avvertenze di evitare, almeno a scuola, le parti sul «pernacchiare» (che è praticamente l’equivalente del napalm per la diffusione di goccioline di saliva). E – se siete a casa – quelle sui tamburi, almeno negli orari di lavoro. Ricordatevi che alla porta accanto potrebbe esserci uno smartworker che sta cercando di concentrarsi (tratto da una storia vera).
2. La drum machine di gruppo
Un’altra constatazione che dovrebbe ormai essere ovvia è che, ormai, la maggior parte della musica non passa più attraverso la tradizionale lettura dello spartito e il solfeggio. I software instruments hanno reso però molto comune un modo “grafico” di pensare la musica con cui è bene familiarizzare fin da piccoli, visto che costituisce la base del fare musica in moltissimi ambiti, dalla produzione di audiovisivi alla musica pop. Mi riferisco alla visualizzazione tipica di programmi come GarageBand o Ableton Live, in cui le singole parti non prendono la forma di pallini e linee su un pentagramma ma piuttosto di rettangoli colorati disposti su righe e colonne. «La stessa cosa si può anche replicare su una lavagna o con dei cartelloni», spiega a proposito Flavio Rubatto, musicista e didatta di Jam Sound School, scuola di musica di San Mauro Torinese, contattato per qualche spunto sulla materia. «Si possono assegnare le parti ai diversi bambini con qualunque strumento autocostruito, o con la penna, il righello, e gli si può insegnare a leggere la musica e costruire il ritmo, come una drum machine di gruppo». Il tutto stando insieme, senza toccarsi e sputarsi addosso.
3. Suonare gli smartphone
Il difficile periodo della didattica a distanza si è fondato sull’idea – talvolta accettata un po’ troppo alla leggera, e che è alla base di un forte abbandono scolastico di cui stiamo appena intravedendo la portata – che tutti gli studenti disponessero di un computer. Non è così e non bisogna darlo per scontato, ma si può pensare, almeno, che la diffusione di smartphone sia più capillare. Per di più, la familiarità delle nuove generazioni con i touchscreen è maggiore di quella con le tastiere, notano molti docenti.
Le attività musicali che si possono svolgere con uno smartphone sono innumerevoli, non implicano necessariamente l’isolamento (ovvero: anche i telefonini possono essere usati come strumenti per fare musica insieme) e risolvono ogni problema di disinfezione, visto che ognuno tocca solo il suo telefono. Dagli alteratori vocali ai pianoforti, dai sintetizzatori fino ai campionatori, le possibilità sono molte. Perché non approfondire – per esempio – il tema del remix? O della composizione tramite software? Le app che mettono a disposizione una versione base dei principali strumenti di questo tipo (sul modello di Pro Tools) sono innumerevoli, e spesso gratuite.
4. Il famoso coro a bocca chiusa della Madama Butterfly
Poi, appunto, si può anche cantare senza sputare in giro: lo dimostra il famoso coro a bocca chiusa della Madama Butterfly, che ci aspettiamo divenga pezzo di repertorio obbligato per i cori nei prossimi mesi, e che – ragionevolmente – dovrebbe suonare bene anche con gli opportuni dispositivi di protezione individuale. Anche se l’indicazione «con mascherina» non è in partitura, i tempi speciali che stiamo vivendo giustificano per una volta la violazione delle intenzioni del compositore.
Anche se l’indicazione «con mascherina» non è in partitura, i tempi speciali che stiamo vivendo giustificano per una volta la violazione delle intenzioni del compositore.
5. Fare rap
Siamo senz’altro d’accordo che alcuni repertori vocali non funzionano molto bene con la mascherina. Non è però il caso del rap, che – anzi – negli ultimi anni ha fatto della costante alterazione vocale, tramite auto-tune e altri filtri, una delle sue cifre distintive. È dunque in grado di funzionare efficacemente anche con un filtro di pochi millimetri di stoffa. Il momento è dunque propizio, finalmente, per affrontare lo studio del rap nelle scuole. In fondo si tratta di una delle forme espressive più diffuse nel mondo, e una di quelle più familiari ai nati dopo il Duemila.
Per chi vuole cominciare seriamente, è uscito da pochi mesi un bellissimo libro di Francesco Carlo, in arte Kento, rapper, attivista e scrittore calabrese. Si chiama Te lo dico in rap (Il Castoro 2020, 176 pp., 15€), è riccamente illustrato da Albhey Longo e offre anche una sezione di basi su cui esercitarsi sul web, raggiungibili tramite comodi QR code anche da smartphone. Kento si dedica sia al racconto della storia della cultura hip hop, con taglio leggero e divulgativo, sia allo sviluppo di veri esercizi progressivi per imparare a fare rap come pratica di musica condivisa. Con l’avvertenza di disinfettarsi opportunamente le mani prima di «passare il microfono».