Per gli appassionati di musica cosmica, extraterrestri e bizzarrie varie da pochi giorni è apparso su Netflix un oggetto non identificato – è il caso di dirlo: John Was Trying To Contact Aliens, in italiano reso come John e la musica per gli alieni (insieme alla domanda «C’è qualcuno là fuori?», in effetti, una delle questioni più irrisolvibili del nostro tempo sembra essere «Perché non tradurre bene i titoli dei film stranieri?»).
Il breve documentario (poco più di un quarto d’ora) del cineasta inglese Matthew Killip, premiato allo scorso Sundance come miglior cortometraggio non-fiction, racconta la storia dell’ufologo dilettante John Shepherd, che per trent’anni ha cercato di contattare gli alieni inviando musica nello spazio.
«This is Project STRAT Earth Station One signing off from another broadcast day. If you ETs are out there, we’d like you to tune in again tomorrow night at nine P.M.»
Sostenuto dai nonni, Shepherd anno dopo anno e dollaro dopo dollaro ha trasformato la sua casa del Michigan in qualcosa di molto simile a uno studio di fonologia, con nastri magnetici, oscillatori, trasmettitori e varia tecnologia da lui costruita e concepita di difficile comprensione, compresa un’enorme antenna (per cui si rese necessaria un’espansione nel giardino).
Convinto dell’universalità del linguaggio musicale, Shepherd decise che il messaggio giusto da inviare «là fuori» fosse proprio la musica – quella «non commerciale», come specifica nel film: jazz, musica elettronica, Kosmische Musik tedesca (potevano mancare Kraftwerk, Tangerine Dream e Harmonia?), ma anche afrobeat, musica dell’asia, reggae e gamelan – una delle sue preferite.
Il documentario di Killip è dolce e a tratti molto tenero. Non giudica mai, e riesce a costruire una immediata empatia con questo freak utopista, anche quando lascia sullo sfondo la ricerca (che ovviamente non ha avuto alcun esito, almeno per ora) per raccontare brevemente la sua storia di omosessuale emarginato nel Michigan rurale, coronata alla fine dall’incontro con il suo compagno, John: «So, contact has been made», conclude il protagonista con un sorriso appena accennato. Delicato e bizzarro, merita una visione.