Sei / ascolti #7: Mauro Lanza

I compositori di oggi si raccontano in sei brani che hanno influenzato il loro modo di pensare e scrivere la musica

Mauro Lanza Sei Ascolti
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Contemporanea o colta che dir si voglia, sono molti i nomi che possiamo usare per definire la musica del nostro tempo. Ma cosa si nasconde dietro quelle sonorità, spesso accusate di apparire troppo ostiche o addirittura cerebrali? Abbiamo chiesto ad alcuni compositori "di oggi" di scegliere sei brani di autori diversi che in qualche modo abbiano esercitato una particolare influenza sul loro modo di pensare e scrivere la musica.

Dopo Yannis Kyriakides, Hugues Dufourt e Michel van der Aa.

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La musica di Mauro Lanza è il risultato di un continuo sforzo verso l’intima fusione di strumenti classici e altre fonti sonore meno convenzionali, quali suoni di sintesi, strumenti giocattolo, rumori, dispositivi elettromeccanici e vari altri objets trouvés. Una tendenza che registra il suo vertice con Systema naturæ (2014/18), il ciclo di composizioni per ensemble e dispositivi elettromeccanici concepito a “quattro mani” con Andrea Valle, ispirato alla classificazione tassonomica di Linneo e recentemente pubblicato su disco per l’etichetta Stradivarius. 

– Leggi anche: Animismo degli oggetti e orchestre elettromeccaniche

Premio Abbiati 2014, il lavoro musicale applicato agli algoritmi informatici spinge inoltre Lanza a intraprendere un percorso nel settore pedagogico, tenendo corsi all’Ircam di Parigi, dove ha studiato informatica musicale, alla McGill University di Montréal, al Catalonia College of Music e all’Università delle belle arti di Berlino.

Lasciati alle spalle alcuni appuntamenti cancellati a causa del coronavirus tra Milano e Roma, a ottobre è prevista l’esecuzione di un suo nuovo pezzo al Festival Donaueschingen Musiktage, oltre alla prima assoluta di una trilogia di quartetti d’archi con elettronica programmata nel 2021 al Festival di Witten con il Quartetto Diotima.

1. "Silver Apples of the Moon", Morton Subotnick 

«In Branchie di Niccolò Ammaniti, Morton Subotnick è un feroce e spregiudicato chirurgo del Turkmenistan specializzato in espianto di organi per il mercato nero. Nella realtà, Subotnick è un signore americano di quasi novant’anni. Nella sua vita ha certamente operato con minuzia chirurgica, ma in tutt’altro campo. In un’epoca in cui la musica elettronica era prevalentemente basata sulle manipolazioni di nastri magnetici, Subotnick è stato un pioniere nell’uso dei sintetizzatori, e Silver Apples of the Moon è, a giusto titolo, il suo pezzo più famoso, interamente composto utilizzando il Buchla 100, un imponente sintetizzatore analogico. Quello che colpisce di questa musica è la ricchezza dell’articolazione (non oso immaginare le ore di lavoro che ci sono volute per scolpire un materiale così variegato) e soprattutto la freschezza. Oggi, in pieno revival di synth modulari e in piena retromania, Silver Apples of the Moon guarda i suoi nipotini dall’alto dei suoi 53 anni con un misto di tenerezza e sicumera. “Hold my beer” sembra dire, mentre accetta di buon grado la sfida del tempo che passa».

«Oggi, in pieno revival di synth modulari e in piena retromania, Silver Apples of the Moon guarda i suoi nipotini dall’alto dei suoi 53 anni con un misto di tenerezza e sicumera. “Hold my beer” sembra dire, mentre accetta di buon grado la sfida del tempo che passa».

2. "^.^%^%^%", [The User]  (estratto da Symphony #2 for Dot Matrix Printers

«Il ritorno su vecchie tecnologie è un evento ricorrente. In un’epoca così pervasa di nostalgia come la nostra, questo fenomeno ha raggiunto un tale livello da diventare quasi sintomo di una forma di scanzonata depressione. Lo sguardo rivolto al passato si traduce in una sostanziale sfiducia nel futuro. Diverso è il caso in cui la seconda vita di una tecnologia obsoleta è resa possibile non soltanto da restauro o retrofitting, ma da un radicale cambio di funzione. Ben prima che i video musicali di arrangiamenti per orchestre di floppy discs proliferassero su YouTube, Thomas McIntosh e Emmanuel Madan – conosciuti con il nome collettivo [The User] – si sono interrogati sul destino del cumulo di rifiuti tecnologici che la nostra società produce quotidianamente. I risultati di questa riflessione sono due "Sinfonie" in cui un manipolo di vecchie stampanti a matrici di aghi, plotter e scanner fanno le veci dei musicisti dell’orchestra eseguendo una partitura costituita da lunghe stringhe di caratteri ASCII».

3. "Professor Bad Trip: Lesson 1”, Fausto Romitelli

«Nel settembre del ’98 ero appena arrivato a Parigi per frequentare il Cursus di composizione dell’Ircam, che da lì a poco sarebbe cominciato. Il mio primo concerto nella capitale prevedeva una discesa nelle viscere dell’istituto fondato da Pierre Boulez, e in programma c’era la prima parigina di un compositore italiano che avevo, fino a quel momento, solo sentito nominare: Fausto Romitelli. Si trattava per l’appunto della prima parte della sua trilogia Professor Bad Trip, pezzo che mi colpì moltissimo. L’influenza francese su quella musica era palese. Contrariamente a molti compositori della “seconda generazione” spettrale, Fausto però non sembrava voler rinunciare a lentezza, ripetizione e continuità, ma piuttosto elevarle all’ennesima potenza. La ripetizione diventa così ipnotica e rituale, l’inarmonicità una metafora dell’inumano, e la polarità ordine-chaos, così tipica nei primi lavori spettrali, un biglietto di sola andata verso l’entropia. È una musica energica, visionaria e schietta, personalissima, ma al contempo profondamente impersonale, quasi un fenomeno naturale».

4) Spem in alium, Thomas Tallis 

«Spem in alium, polifonia a 40 parti reali, è l’equivalente musicale di una cattedrale. La storia vuole che si tratti della risposta inglese alla messa di Alessandro Striggio, anch’essa a 40 voci, insomma un pezzo quasi nato per sfida (è ironico che il testo reciti “respice humilitatem nostram”), un duello fra rapper nel tentativo di figurare nel guinness dei primati del secolo XVI. E invero di record si tratta, se per record intendiamo l’atto di mettere un paletto, segnalare il limite delle umane possibilità, e nel contempo delimitare la terra incognita che si estende oltre il confine». 

«Spem in alium, polifonia a 40 parti reali, è l’equivalente musicale di una cattedrale».

«E il confine in Spem in alium non è solo determinato dall’ingegno combinatorio di Tallis, ma dalla nostra stessa percezione. Nei punti di massima densità contrappuntistica il ritmo armonico rallenta fino alla stasi, e la polifonia diventa suono, una superficie monocroma increspata da consonanti e note di passaggio, quasi sintesi granulare. Il paesaggio che si intravede oltre il confine è la micropolifonia di Ligeti, sono le texture elettroniche che verranno quattro secoli dopo». 

5. "Dissect Yourself", Car Bomb 

«C’è un’idea, a volte esplicitata e a volte sottaciuta, condivisa da molti di quelli che operano nel campo della cosiddetta "contemporanea": un luogo comune che vede il rapporto fra gli adepti di questa setta e il vasto pianeta Musica come quello che intercorre fra un dipartimento di ricerca e sviluppo ed una grande azienda. In buona sostanza, l’innovazione sarebbe un attributo costitutivo della contemporanea, e innovazione farebbe inevitabilmente rima con "complessità". Per sfatare questo mito eccezionalista consiglio la presenza a un concerto dei Car Bomb, gruppo metal di Long Island».

«I Car Bomb provengono dal variegata galassia dell’hard/thrash/math/metal, una galassia fatta di urla, chitarre scordate, ritmi asimmetrici e testi apocalittici, a cui mi sono avvicinato verso la metà degli anni Novanta grazie all’amico compositore Carlo Carcano. La loro musica rielabora stilemi di band storiche come Meshuggah e The Dillinger Escape Plan in un mix esplosivo. Un loro concerto è un’ora di ritmi irregolari in stile “Danse sacrale” eseguiti impeccabilmente ma con furore, una violenza sonica che travolge i sensi ma anche e soprattutto l’intelletto; un’ora passata a volere/dovere muovere la testa o le membra senza mai la coscienza esatta di quale sia il battere e quale sia il levare».

6. Poema dell’estasi op. 54, Alexander Scriabin 

«La figura di Alexander Scriabin, dopo l'oblio dell'epoca staliniana, conobbe un grande revival in URSS a partire degli anni del disgelo. Per l'URSS della corsa allo spazio il misticismo di Scriabin era un parente prossimo della filosofia "cosmista", un pollone dello stesso albero di famiglia di cui facevano parte, fra gli altri, il filosofo Nikolaj Fёdorov o Konstantin Ciolkovskij, ingegnere e padre fondatore della cosmonautica. Il 12 aprile 1961, giorno del volo di Yuri Gagarin, la radio sovietica diffuse più volte il suo Poema dell'estasi, che divenne così, in un certo senso, la colonna sonora della conquista del cosmo. Mi risulta difficile immaginare una scelta più giusta e pertinente. Ciò che la mistica positivista cosmista e la musica di Scriabin condividevano, era l’ottimismo: la coscienza che l’agire presente plasma e modifica il futuro. La fiducia con cui Scriabin credeva che la sua musica avrebbe cambiato il mondo e contribuito a far nascere l’uomo nuovo può sembrarci naïf, ma nel contempo credo che molti di noi, nati e vissuti nell’epoca nel disincanto, provino invidia per la sua certezza ferrea. In un mondo in cui la nostra immaginazione del futuro prende la forma delle peggiori distopie, la musica di Scriabin ci invita a creare musiche, immagini, narrazioni che siano profezie che si autoavverano, formule magiche per creare il futuro che vogliamo».

 

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