Il libertino tra video e distanziamenti
Don Giovanni ha inaugurato la stagione dello Sferisterio di Macerata
Don Giovanni di Mozart, firmato da Davide Livermore per la regia e da Francesco Lanzillotta per la direzione musicale, ha inaugurato la stagione del Macerata Opera Festival nel grande teatro all’aperto dello Sferisterio. Un ritorno dello spettacolo dal vivo, tra i primi nel nostro Paese, e probabilmente nel mondo, fortemente sostenuto dalle maestranze del teatro e dalle autorità cittadine, che ha fatto comprendere quanto sia insostituibile l’emozione della musica eseguita da voci e strumenti a pochi passi da chi ascolta. E per questo ritorno lo Sferisterio ci ha regalato uno spettacolo bello sul piano musicale, e intelligente sul piano scenico e registico. Ideato per il teatro romano di Orange, nel sud della Francia, dove è stato rappresentato la scorsa estate, questo allestimento è stato adattato e riorganizzato per il nuovo spazio teatrale, sul cui muro di fondo il video mapping riproduceva quello del teatro francese. La totale assenza di arredi scenici era sostituita egregiamente dalle proiezioni bi- e tridimensionali, con funzione non solo di ambientazione e di introspezione dei personaggi in scena, ma anche di codificazione, insieme ai costumi, dei salti temporali.
La vicenda è infatti raccontata a ritroso, perché la morte del protagonista è già preannunciata all’inizio, con il doppio omicidio del Commendatore e di Don Giovanni che si uccidono a vicenda con un colpo di pistola. L’ombra del libertino giace nella fossa per tutto il primo atto, mentre la vicenda, all’inizio contemporanea, si sposta nel 1700 già con l’apparizione di Zerlina e Masetto. Ma l’ambientazione settecentesca in effetti rimarrà sempre un elemento di superficie, perché è l’Eros e la sua universalità a dominare tutto. Ogni cosa viene fagocitata dalla concupiscenza del protagonista, che non cambia mai d’abito, insieme a Leporello, e rimane ancorato alla contemporaneità: la scena del ballo diventa un’orgia, consumata con corpi – manichini asessuati e privi di identità; e così accade nella scena finale della cena, dove il piacere del cibo si traduce in appetito sessuale tout court.
La regia ha fatto di necessità virtù, adottando soluzioni che consentivano il distanziamento tra gli artisti, e optando per la copertura del volto quando ciò non era possibile. Quindi l’uso della pistola anziché del pugnale, (e per la verità la pistola è impugnata nelle varie occasioni da diversi personaggi), un “catalogo” fotografico proiettato sul muro anziché cartaceo, e la stretta di mano con l’ombra del Commendatore che è solo accennata.
Stessi accorgimenti in orchestra, dove il distanziamento tra gli strumentisti ha determinato la necessità di ridurre i violini primi da quattordici a dieci e ha reso il lavoro certamente più difficoltoso durante le prove, per la difficoltà di ascoltarsi reciprocamente; Lanzillotta ha comunque saputo valorizzare la FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana con gestualità ampia e precisa, con l’unico neo del fortepiano digitale.
Sul piano vocale tutti gli interpreti sono stati all’altezza dei ruoli: Mattia Olivieri in Don Giovanni, Tommaso Barea in Leporello, Antonio di Matteo nel Commendatore, Davide Giangregorio in Masetto. Particolarmente apprezzabile Giovanni Sala, interprete raffinato ed espressivo di Don Ottavio. Anche sul versante femminile Valentina Mastrangelo in Donna Elvira, Lavinia Bini in Zerlina e in particolare Karen Gardeazabal in Donna Anna hanno dimostrato eccellenti doti vocali ed interpretative.
Una serata ricca di forte emozione, che è trapelata dalle parole del direttore e del regista a fine spettacolo, nato in una atmosfera di sinergia più forte del consueto, dimostrata anche dal primo violino, voluto sul palcoscenico da Lanzillotta a raccogliere gli applausi in rappresentanza di tutta l’orchestra.
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