La riscoperta del musicarello

Un percorso attraverso il film musicale italiano degli anni Sessanta, a partire dal nuovo libro di Claudio Bisoni, Cinema, sorrisi e canzoni

Musicarello - I ragazzi del Juke-box
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pop

Il musicarello – ovvero il film-canzone, il film musicale italiano degli anni Sessanta pensato (soprattutto) per il "nuovo" pubblico giovanile – sta da qualche anno attirando, infine, l'attenzione degli studiosi di cinema e di popular music.

Quello dei musicarelli è un repertorio di pellicole a basso (se non bassissimo) costo, popolate di divi più (Gianni Morandi, Mina, Rita Pavone) o meno (Brunetta, Betty Curtis) consacrati nella storia della canzone italiana; un pugno di film minori tra i minori, serbati in molti casi con nostalgico affetto dai moltissimi che al cinema li hanno visti da giovani, ma decisamente meno toccati dal recupero in chiave camp che ha riguardato in epoca di retromania altri generi del cinema popolare italiano. Un «cinema senza», secondo la definizione di Claudio Bisoni: senza una vera parabola evolutiva, senza la capacità di sopravvivere alla lenta erosione di quel modo di fare spettacolo operata dalla televisione, senza – in fondo – successi clamorosi (ma, visto il basso costo, anche senza spettacolari fallimenti).

Claudio Bisoni insegna all'Università di Bologna e da tempo si occupa di musicarello. È appena uscito il suo Cinema, sorrisi e canzoni: il film musicale italiano degli anni Sessanta (Rubbettino, 248 pp., 18€), che si candida a essere il testo obbligato per quanti vogliano studiare (o semplicemente riscoprire) questo pezzettino della cultura pop italiana.

Per farci raccontare che cosa è stato, e che cosa abbia rappresentato, il film musicale negli anni Sessanta, gli abbiamo chiesto di scegliere sei performance musicali da altrettanti film, e di raccontarcele.

Bisoni - Musicarello

1. La dolce vita (Federico Fellini, 1960)

«Un pezzo di musicarello incastonato nel film più d’autore e al contempo più popolare degli anni Sessanta. Federico Fellini registra in presa diretta l’affacciarsi sulla scena sociale di qualcosa di nuovo, anzi, di nuovissimo, persino rispetto al boom economico in cui si muove il disilluso Marcello. Adriano Celentano compare già nella parte di se stesso, anche se “romanizzato” da una sola battuta in doppiaggio. È lo stesso cantante che quasi contemporaneamente partecipa ad altri film musicali (Juke box – Urli d'amore, I ragazzi del juke box, Urlatori alla sbarra). Qui irrompe in scena invocato da alcune voci fuori campo. Canta, si agita, inciampa (come se il vecchio palco rialzato fosse solo un ostacolo a una performance che richiede di espandersi all’infinito nello spazio), impone nuovi suoni e modalità di coinvolgimento del pubblico».

«In La dolce vita Celentano è il propagatore di una forza barbara che fa a pezzi la sintassi della seduzione tradizionale utilizzata da Marcello fino a quel punto».

«In sintesi: è un propagatore di una forza barbara che, tra l’altro, fa a pezzi la sintassi della seduzione tradizionale utilizzata da Marcello fino a quel punto. Infatti la diva americana è conquistata dai nuovi ritmi, balla, viene manipolata come una bambolona da un amico attore-ballerino. Il languido latin lover mediterraneo, in un attimo, prende le sembianze di un seduttore attempato, detronizzato, fatto accomodare a bordo scena. Si riscatterà – complice la più celebre fontana della capitale – solo all’alba».

2. Urlatori alla sbarra (Lucio Fulci, 1960)

«Esempio perfetto di ciò che di può trovare in un musicarello della prima fase, quella dei primi anni Sessanta. La tromba di Chet Baker, in una delle sue trasferte italiane, incontra il linguaggio dei primi cantautori (che ancora non si chiamavano così). Ma il film contiene anche esibizioni di Gianni Meccia, Brunetta, Joe Sentieri, Celentano. E Mina, che ha attraversato disinvoltamente diversi musicarelli e che qui è in piena ascesa, protagonista di ben quattro performance ("Nessuno", "Vorrei sapere perché", "Tintarella di luna", "Whisky")».

«In questa fase il musicarello fa da contenitore per diversi cantanti, con diversi gradi di popolarità, appartenenti a diversi generi musicali (jazzisti, urlatori, rocker ecc.), tutti caratterizzati da una generica diversità rispetto alle melodie del passato».

«Il mix di personalità più o meno emergenti testimonia che, almeno in questa fase, il film musicale giovanile non promuove semplicemente le canzoni di un sigolo divo-performer. Piuttosto, fa da contenitore per diversi cantanti, con diversi gradi di popolarità, appartenenti a diversi generi musicali (jazzisti, urlatori, rocker ecc.), tutti caratterizzati da una generica diversità rispetto alle melodie del passato».

3. Sanremo – La grande sfida (Piero Vivarelli, 1960)

Qualche giovane emergente (ancora Celentano) sfila sul palco dell’edizione del festival ligure del 1960, incrociandosi con la vecchia e la nuova guardia: da Nilla Pizzi a Domenico Modugno, transitando per il breve successo degli urlatori alla Tony Dallara. Il film è interessante soprattutto per il rapporto che instaura con la tv. Apparentemente nella regia delle singole esibizioni Piero Vivarelli gioca con i nascenti codici televisivi di messa in scena del numero musicale (come avviene in questa esibizione di Modugno che canta Libero). Ma il linguaggio cinematografico permette variazioni e scarti significativi rispetto alla presunta oggettività della telecamera. Non solo i punti di ripresa delle performance cambiano ma l’intero dispositivo narrativo prende parte all’evento, commentandolo e facendosi enunciato di gusto. Così il film resta fruttuosamente in bilico tra la rappresentazione visiva fedele di un evento spettacolare già dato e il ritratto malevolo che denuncia i retroscena del festival, svela gli intrighi commerciali tipici del mondo discografico, critica alcuni cantanti (come testimonia il commento della voice over al vestito esibito da Nilla Pizzi durante la sua esibizione)».

4. In ginocchio da te (Ettore M. Fizzarotti, 1964)

Valore estetico pressoché nullo, impianto produttivo a bassissimo costo, incassi straordinari. Ecco la formula del ciclo di musicarelli con protagonista Gianni Morandi e le regie di Ettore Fizzarotti, oggi sdoganata anche da Parasite. Al centro della trama, un solo protagonista/cantante».

«Il musicarello serve per sancire la poca pericolosità sociale dei nuovi suoni, ritmi e comportamenti, e per suggerire che i giovani cantanti sono pronti a lavorare proficuamente in sinergia con i rappresentanti più anziani dell’entertainment nazionale».

«I numeri musicali vengono integrati con cura nella esile linea narrativa (come capita per la title track presentata in questo video). Che è costruita per permettere l’ascolto e il riascolto dei successi del divo musicale del momento. Ma il film si basa sulla successione di attrazioni spettacolari d’altro tipo: accanto alle canzoni troviamo i numeri comici. Questi ultimi sono affidati a solidi professionisti dello spettacolo leggero italiano, come Nino Taranto, Gino Bramieri, Raffaele Pisu. Tra questi comici e il giovane cantante si creano scambi che, nella trama, stemperano i conflitti intergenerazionali e, su un piano più generale, espongono l’ideologia conciliativa del genere: il musicarello serve per sancire la poca pericolosità sociale dei nuovi suoni, ritmi e comportamenti, e per suggerire che i giovani cantanti sono pronti a lavorare proficuamente in sinergia con i rappresentanti più anziani dell’entertainment nazionale. In continuità e senza fratture».

5. Altissima pressione (Enzo Trapani, 1965)

«All’uscita questo film non ebbe alcun successo. Eppure si tratta di uno dei documenti audiovisivi più interessanti per capire la velocità d’evoluzione delle culture giovanili prima del Sessantotto. A inizio decennio i musicarelli raccontano storie in cui i giovani ascoltano e suonano la loro musica confinati in bar, dancing club o bettole di assai poco glamour. A metà del decennio invece Altissima pressione ci restituisce un tessuto urbano scandito da nuovi spazi dove i ragazzi e le ragazze possono assistere ai più vari spettacoli musicali: discoteche, teatri di posa, studi di registrazione. Enzo Trapani, dopo il successo televisivo di Alta pressione, una trasmissione che aveva rappresentato e integrato tra loro differenti pubblici generazionali, mette in scena una serie di numeri musicali concentrandosi soprattutto sul consumo e sui fenomeni di fandom. Sta scoppiando la British Invasion. I Beatles spopolano ovunque, e arrivano in Italia nell’estate del ‘65. Trapani, con un occhio alla regia dei primi film beatlesiani (e in particolar modo ad A Hard Day’s Night, di Richard Lester, 1964), usa il musicarello come uno strumento per sperimentare diversi moduli di rappresentazione delle audience». 

6. Rita la zanzara (Lina Wertmüller, 1966)

«Il film da cui proviene questa performance che si prende allegramente gioco della scena beat italiana è stato uno dei più grandi incassi del cinema musicale degli anni Sessanta. La pellicola si inserisce nell’ascesa di Rita Pavone sulla scena dei media e la mette a frutto. L’impianto è solidamente cinematografico. I numeri musicali veicolano canzoni scritte appositamente per il film, secondo la tradizione più consolidata del musical anglo-americano. Ma ancora una volta a contare più di tutto è il rapporto privilegiato con la televisione. Il film infatti offre occasione a Lina Wertmüller di rivisitare – a colori e con maggiori mezzi – elementi spettacolari già sperimentati in tv con Il giornalino di Gianburrasca e altre apparizioni televisive della Pavone. La performer canta ma anche balla, recita, imita colleghi e attori (Mina, Marilyn Monroe, Charlie Chaplin). Il film quindi mette alla prova e rilancia proprio le qualità di duttilità e trasformismo che già lo spettacolo televisivo aveva cominciato ad attribuire alla star image della cantante».

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