È morto a 91 anni Quincy Jones, fra i più influenti musicisti del Novecento. Qualche anno fa ha raccolto in un libro – 12 note. Sulla Vita e la Creatività – la sua personalissima visione del mondo, oltre che della musica.
Per ricordarlo, pubblichiamo un estratto dell'ultimo capitolo, G#, dedicato alla vita e alla morte.
È impossibile vivere quanto ho fatto io senza sviluppare una conoscenza approfondita della mortalità. D’altra parte, sono stato al mio funerale.
Riconosci il valore della vita.
Nota G# (sol#)
Ora che siamo giunti all’ultima Nota della scala, devo dire che è meraviglioso raggiungere gli obiettivi e ottenere un certo livello di successo, ma alla fine dei conti qual è lo scopo?
È una domanda che mi sono trovato di fronte molte e molte volte, avendo quasi visto la morte in faccia molte e molte volte. Se non stai attento, accumulare successi e beni materiali può offrirti un senso temporaneo di pienezza, ma solo nei frangenti di vita o di morte ho imparato che il più grande successo di per sé è il semplice, eppure complesso, dono di vivere la vita.
È impossibile vivere quanto ho fatto io senza sviluppare una conoscenza approfondita della mortalità. D’altra parte, sono stato al mio funerale (ci arriviamo tra poco). Ringrazio Dio che i miei precedenti incontri con la morte non si siano conclusi con la chiusura del sipario, ma arrivarle così vicino mi ha costretto a fare qualche riflessione… anzi, parecchie riflessioni.
Mi ha portato alla conclusione che, in quanto workaholic autodiagnosticato, ho purtroppo messo in secondo piano la famiglia e la salute per più anni di quanto mi vada di ammettere. Eppure, nonostante tutti i premi speciali e le benemerenze che la maturità porta con sé, ho scoperto che i miei valori interiori e l’influenza che ho sulla mia famiglia e sugli altri contano di più.
Le carriere sono effimere e lo status va e viene: alla fine di tutto, che eredità saresti orgoglioso di lasciare dietro di te?
Non c’è niente di male nel puntare sempre più in alto: è qualcosa che caldeggio, ma ti invito anche a chiederti perché lo fai. La risposta potrebbe sorprenderti, ma, cosa ancor più frequente, potresti sorprenderti a non averne una. Le carriere sono effimere e lo status va e viene: alla fine di tutto, che eredità saresti orgoglioso di lasciare dietro di te? E che uso sarai fiero di aver fatto del tempo a tua disposizione? Ti dirò tutto su come sono arrivato a rispondere a queste domande, per quanto mi riguarda, ma prima dobbiamo tornare ad alcuni punti di svolta della mia vita, in cui una presunta fine è diventata un nuovo inizio.
1947
Come forse rammenti dalla Nota C#, la prima orchestra ufficiale in cui ho suonato era guidata dal leggendario bandleader Bumps Blackwell. Bumps era un personaggio estremamente influente della zona di Seattle ed era anche comandante in capo dell’orchestra della Guardia nazionale. Per entrarvi bisognava avere diciott’anni, ma dato che io e i miei compagni eravamo suoi intimi amici, Bumps ci aveva permesso di aumentarci l’età sui documenti, quando in realtà eravamo ancora quattordicenni. Questa “scrittura” si rivelò un impegno molto maggiore di quanto avessi previsto, dato che mi fecero giurare come membro della banda della 41a divisione di fanteria della Guardia nazionale dello Stato di Washington, interamente composta da musicisti neri. Fui in servizio attivo nell’esercito per due o tre mesi durante l’estate, a Camp Murray. Io e i miei compagni non sapevamo nemmeno come eseguire il “fronte a sinistr”! Ma suonavamo bene e questo era l’importante: non per i nostri sergenti, magari, ma per noi sì.
Verso la fine della mia permanenza nell’orchestra, ci venne assegnato il compito di suonare durante un rodeo a Tacoma, perciò insieme a quattro compagni montai su una macchina e mi diressi a sud. Eravamo in viaggio, ci divertivamo e ci esercitavamo sui nostri strumenti, quando in una frazione di secondo tutto cambiò. Un pullman della Trailways, spuntato dal nulla, investì in pieno l’auto.
Ho tentato a lungo di cancellare i dettagli precisi di quanto accadde quel giorno, ma ti posso dire che molte vite andarono perdute. Morirono tre passeggeri del pullman e tra chi era a bordo della nostra auto – due ragazzi davanti, due dietro e io in mezzo – tutti gli altri rimasero uccisi.
Non aveva alcun senso che io fossi scampato. Cercai di tirar fuori uno dei miei amici dal sedile anteriore, ma era stato decapitato dallo scontro. È stata, ed è tuttora, una delle esperienze più traumatiche che abbia mai avuto. Ancora oggi, non ho mai imparato a guidare.
1969
Quando l’ottimo regista Peter Yates mi chiese di occuparmi della colonna sonora del suo film Bullitt, mi cadde addosso un macigno, perché non ero in condizioni di accettare, a causa di una recente appendicectomia. In seguito, però, quando il mio caro amico Steve McQueen, protagonista del film, mi chiese di andare a vedere il montaggio preliminare, fui felice di accettare. Ci andai con il mio parrucchiere e caro amico Jay Sebring, che si occupava anche dei capelli di Steve. Usciti dalla proiezione, Jay mi invitò a casa di Sharon Tate e Roman Polanski in Cielo Drive a Los Angeles, per una festa. Roman era ancora a Londra, ma ci sarebbero stati Sharon e alcune altre persone del mondo del cinema.
Come capita a tutti quando si diventa un po’ più “saggi”, stavo iniziando a perdere i capelli in alcuni punti. Perciò Jay aveva promesso di darmi una specie di siero miracoloso per la ricrescita, per stemperare la pelata e far tornare un po’ della mia chioma naturale. Mi disse: «Ci vediamo da Sharon, stasera, ho trovato qualcosa per quella tua chiazza in testa».
Dopo esserci accordati per vederci più tardi, quella sera, io e Jay andammo ognuno per conto proprio.
A essere sincero, non ricordo che cosa abbia monopolizzato la mia attenzione per il resto di quella serata, ma qualunque cosa fosse mi sentivo semplicemente troppo stanco per andare alla festa e finii per crollare addormentato a casa.
La mattina seguente, il mio sonno fu violentemente interrotto da quella che è rimasta una delle telefonate più sconvolgenti che abbia mai ricevuto. Dall’altro capo della linea le mie orecchie udirono sei parole che porto incise per sempre nella memoria: «Hai saputo di Jay? È morto».
La mia reazione immediata fu: «Cazzate, ero con lui giusto ieri».
Riattaccai incredulo e chiamai immediatamente la società di Jay, la Sebring International. «C’è Jay Sebring?» chiesi, con voce tremante.
La donna all’altro capo chiese: «Chi parla?».
«Quincy Jones.»
«Jay Sebring è morto» disse recisamente, prima di riattaccare.
Accesi la televisione e venni travolto da un’ondata di orrore, vedendo i sacchi con i cadaveri stesi sul prato della casa di Sharon. Quei sacchi contenevano i corpi preziosi di ogni persona che aveva partecipato alla festa, compreso Jay. Mentre giungevano notizie su quello che in seguito venne chiamato “eccidio di Cielo Drive”, io, come il resto del mondo, scoprii che cos’era successo di preciso a casa di Sharon Tate. Solo che io avrei dovuto essere lì. Nel periodo immediatamente successivo, non era chiaro chi avesse commesso gli omicidi, perciò le forze dell’ordine erano in stato di estrema allerta in tutta Los Angeles. Le persone sospettavano le une delle altre, tra la cittadinanza circolava una tensione elevata, finché il padre di Sharon Tate, che faceva parte dei servizi segreti dell’esercito, condusse gli investigatori a nientemeno che Charles Manson. Venne appurato che Manson aveva ordinato alla sua “famiglia”, o meglio ai seguaci del suo culto, di prendere di mira il precedente proprietario della casa – Terry Melcher, il famoso produttore dei Beach Boys – perché aveva rifiutato la richiesta di Manson di fare un disco insieme.
Conoscevo piuttosto bene Sharon e tra l’altro, alla fine degli anni Sessanta, avevo cercato di acquistare quella che poi era diventata casa sua, ma dato che all’epoca il proprietario era disposto solo ad affittarla avevo deciso di comprarne una dall’attrice Janet Leigh, in Deep Canyon Drive. Il modo in cui questa realtà giocava con i miei pensieri mi era quasi incomprensibile. Non riuscivo a fare a meno di pensare che se mi fossi trasferito io in quella casa, invece di Terry, non sarebbe mai stata un obiettivo di Manson e loro avrebbero potuto essere ancora tutti vivi. E poi, che cosa sarebbe successo se ci fossi stato anch’io lì, quella sera? È un processo mentale inutile, ma c’è ancora una parte di me che continua a cercare di trovare un senso in una situazione così assurda.
[...]
Spesso pensiamo alla vita come a una serie di eventi che ci capitano. Di conseguenza, ignoriamo il fatto che spesso si tratta di una serie di azioni che facciamo a noi stessi. Crescendo sotto la guida dei jazzisti degli anni Quaranta e Cinquanta, ho visto e seguito la via delle droghe pesanti, ed ero solito fumare quattro pacchetti di sigarette nell’arco di ventiquattr’ore. Avendo frequentato gente come Ray Charles e Frank Sinatra, mi sembra di aver bevuto una quantità di alcol che basterebbe per quarantamila persone! Dico sul serio. Quella vita è andata avanti a lungo e probabilmente lo farebbe ancora, se non fosse stato per il mio ultimo rendez-vous con la morte.
Spesso, quello che la gente non capisce è che tutto, anche la salute fisica, inizia dalla mente. È la cosa più potente che possiedi. Ti può portare su pascoli verdeggianti, ma anche lungo la via più buia. Salvo tutti i casi di malattie mentali, raggiungere questo livello di consapevolezza sta interamente nelle tue mani. Senza compiere uno sforzo consapevole di cambiare i tuoi processi mentali, e di conseguenza le tue azioni, non cambierà niente. Mi ci sono voluti diversi avvertimenti prima che ci arrivassi, ma, ragazzi, quanto sono grato di averlo fatto. La mia speranza per te è che tu non aspetti un campanello d’allarme; spero invece che, semplicemente, userai questi episodi della mia vita come promemoria per compiere i cambiamenti necessari.
L’aspetto spinoso della vita è che devi continuamente riflettere sulla tua crescita. Un vizio è un vizio per un motivo. È difficile da perdere, ed è facile dimenticare le lezioni imparate una volta che sono nello specchietto retrovisore. Personalmente, è stato sbalorditivo riconsiderare la mia vita perché, senza la presenza divorante dell’alcol, i miei ricordi sono diventati limpidissimi. Sono riuscito a ricordare eventi del passato che non sono certo avrei rammentato altrimenti, e ora, durante i momenti importanti in famiglia, sono grato di sapere che il ricordo che ne avrò non sarà offuscato dal mio brutto vizio del bere. Dopo aver smesso, nel 2015, ho sentito di essere in grado di vedere con chiarezza in ogni direzione possibile.
Non lo dico per mettermi su un piedistallo; anzi, sono solo grato di essere ancora qui, ed è esattamente per questo che ho deciso di condividere quanto ho raccontato in questo libro. Certo, non fraintendermi, non ho ancora capito tutto.
Avrò anche ottantotto anni, ma mentre scrivo queste parole mi tornano alla mente alcune lezioni che pensavo di aver già assimilato. Se una storia è finita su queste pagine, è probabile che mi abbia insegnato qualcosa, e spero farà lo stesso anche con te.
Avrò anche ottantotto anni, ma mentre scrivo queste parole mi tornano alla mente alcune lezioni che pensavo di aver già assimilato. Se una storia è finita su queste pagine, è probabile che mi abbia insegnato qualcosa, e spero farà lo stesso anche con te.
[...]
Mi hanno chiesto molte volte: «Non credi di aver già fatto abbastanza?». Immagino che possa sembrare di sì, ma comunque ci sono ancora cose che voglio fare. Voglio ancora scrivere una street opera. Voglio ancora pubblicare altri dischi. Film. Spettacoli di Broadway. Ma, a parte questo, voglio vedere i miei figli, e i figli dei miei figli, arrivare alla mia età e oltre.
Voglio ancora fare molte e molte cose, che potrei riuscire a realizzare oppure no. È un boccone amaro da inghiottire, ma va accettato.
[...]
È un viaggio straordinario, perciò goditene ogni goccia: credimi, io resterò in ballo finché non cascherò a terra!
È un viaggio straordinario, perciò goditene ogni goccia: credimi, io resterò in ballo finché non cascherò a terra!