La vera storia dei Beastie Boys

Story of the Beastie Boys, il documentario di Spike Jonze tratto da uno spettacolo di Broadway, è disponibile in streaming

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“Here is the story that I got to tell about three bad brothers that you know so well. It started way back in history with Ad-Rock, MCA and me, Mike D”. Story of the Beastie Boys è soprattutto questo, il racconto dell’amicizia di tre ragazzi, dalle cantine di New York ai palchi di tutto il mondo, un’amicizia che ha avuto i suoi alti e bassi ma che dura tuttora.

1986, la rivoluzione può partire: i Beastie Boys sono il primo gruppo rap di bianchi a diventare popolare, in alcuni momenti molto popolare. Lo saranno per un quarto di secolo. Dopo essere emersi dalla scena hardcore punk newyorkese ispirandosi ai neri Bad Brains, i Beastie Boys pubblicano alla fine dell’anno Licensed to Ill, un blockbuster da 720mila copie vendute in sei settimane, ma soprattutto il primo titolo hip-hop a raggiungere la vetta delle classifiche statunitensi (insomma la versione hip-hop di Elvis). Il successo è arrivato per i tre giovanotti, figli della borghesia di Manhattan.

Ma chi sono i Beastie Boys? Michael Diamond (Mike D), Adam Yauch (MCA, scomparso il 4 maggio 2012) e Adam Horowitz (Ad-Rock). Dopo alcuni tentativi dimenticabili, i tre entrano in contatto con Rick Rubin e il team comincia a funzionare: Rubin lavora su campionamenti adatti al rap da mocciosi dei tre, contenenti riferimenti alla cultura pop della middle class bianca – e quindi Led Zeppelin, riff di chitarre heavy metal ma anche il tema del programma televisivo Mr. Ed. Russell Simmons, ex-spacciatore e fratello di Joseph “Run” dei Run-D.M.C. riconvertitosi in impresario hip-hop, è d’accordo, fiutando la possibilità di portare l’hip-hop sulle frequenze di MTV, e i tre entrano a far parte della Def Jam.

«La mia vita è stata in larga parte improntata alla promozione della rabbia, dello stile, dell’aggressività e della mentalità dell’America urbana presso un pubblico mondiale» – Russell Simmons

Come detto, Licensed to Ill fa il botto e i Beastie Boys aprono le date del Virgin Tour di Madonna, urlando spesso oscenità al pubblico e ricevendo per questo molte critiche. Subito dopo fanno carovana con i Run-D.M.C., LL Cool J e Whodini: è il Raising Hell Tour, in cui la violenza è una triste costante. È arrivato il momento di esibirsi dal vivo per conto proprio, ma il tour è costellato di denunce, arresti, accuse di violenza, vandalismo, sessismo e oscenità (beh, se ti esibisci su un palco con un fallo gonfiabile di otto metri e una go-go dancer in gabbia, può succedere).

I Beastie Boys sono i Sex Pistols dell’hip-hop, dei geniali cazzoni che sanno dare ai giovani bianchi quello di cui hanno bisogno, qualcosa di non ben definito ma assolutamente presente nello zeitgeist dei ragazzi delle periferie urbane. Pur usando un linguaggio diverso, Licensed to Ill è un disco assolutamente punk, una pietra miliare del rap’n’rock che contiene l’inno all’edonismo della Generazione X, quel “(You Gotta) Fight for Your Right (to Party)” diventato il party rock anthem di quegli anni, e non solo, anche grazie al video trasmesso e ritrasmesso da MTV.

I Beastie Boys dell’epoca danno l’idea di un trio ossessionato da rime, ragazze e divertimento, e la produzione di Rubin è un uncino che non molla l’orecchio dell’ascoltatore e l’uso di chitarre e batteria dà all’album un suono potentissimo: ci troviamo di fronte a un fenomeno della cultura pop che nei soli Stati Uniti ha una cubatura da oltre nove milioni di copie.

Ma questo non è un articolo sulla storia del gruppo ma sul film Beastie Boys Story del regista Spike Jonze, già collaboratore del gruppo nella realizzazione di alcuni videoclip e artefice di film come Being John Malcovich e Her.

Il gruppo smette di esistere nel 2014, in seguito alla morte di Adam Yauch a causa di un cancro alla ghiandola parotide, la più grande delle ghiandole salivari.

A distanza di qualche tempo Mike D, Ad-Rock e Spike Jonze decidono di raccontare la storia del gruppo e di farne uno spettacolo teatrale che va in scena nel biennio 2018-2019. Lo show finale si tiene a Brooklyn e il documentario Beastie Boys Story è proprio la registrazione, montata in modo da renderla adatta allo schermo, di quell'ultima data.

Il documentario avrebbe dovuto debuttare il 16 marzo 2020 nel corso del SXSW Music Festival di Austin, ma la pandemia da Coronavirus ha costretto Apple a rinunciare a questo appuntamento. Da qui la decisione da parte di Apple di inserirlo, a partire dal 24 aprile, nel proprio catalogo dei contenuti in streaming.  Per poterlo vedere bisogna essere abbonati al servizio Apple TV+ (se vi interessa, c'è una settimana gratuita di prova per i nuovi clienti).

Due ore di film che scorrono in un battibaleno, tra ricordi, battute, scherzi, video dell’epoca e racconti dei due sopravvissuti, sufficientemente distanti dal ricordo doloroso della scomparsa di MCA per poterla rielaborare sul palco nella sua interezza, anche a un livello molto intimo. Ne viene fuori un ritratto splendido di Yauch, senz’altro il più curioso dei tre, gran viaggiatore, così interessato al buddismo da organizzare tra il 1996 e il 2001 i Tibetan Freedom Concerts.

Questo documentario – lo dico ora, bellissimo – ricostruisce la storia di tre amici, dagli eccessi degli inizi al fiasco commerciale di Paul’s Boutique, dal ritorno al successo con Check your Head e Ill Communication fino alla morte di Yauch: tre ragazzi che sono diventati uomini, tre cazzoni che sono diventati musicisti. Yo, what’s up with that?

«Abbiamo tutti diversi tipi di amici: c’è quello un po’ stronzo ma che alle volte è simpatico, ti diverti a bere e a sparare cazzate con lui ma non gli chiedi mai aiuto fisico o emotivo perché non è affidabile. Oppure c’è quello che vedi ogni tanto, ti piace uscire con lui e pensi sempre: “Dovrei passare più tempo con lui”, ma per qualche motivo non lo fai. Poi c’è il vero amico, quello con cui staresti sempre al telefono, ti aiuta col trasloco, viene a trovarti in ospedale o ti tiene sempre un posto sul divano, nel caso tu ne abbia bisogno. Questo tipo di amico è raro, lo sappiamo tutti, ma ce n’è un tipo ancora più raro. Uno che non solo si motiva a fare grandi cose ma motiva tutti a farle insieme, e ce la fa. Adam Yauch era quel tipo di amico». – Michael Diamond e Adam Horowitz

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