L’hip hop afrofuturista di Shabazz Palaces
In The Don of Diamond Dreams gli Shabazz Palaces avanzano nel solco di Sun Ra e George Clinton
Nella cultura afroamericana, e in particolare nella dottrina della Nation of Islam fondata da Elijah Muhammad, il nome Shabazz indica il capostipite della tribù africana originaria: di ritorno dal pellegrinaggio alla Mecca, Malcolm X si tramutò per questo in El Hajj Malik El-Shabazz. A quell’idea di una genesi della civiltà umana situata nell’Egitto Nubiano, formalizzata dallo studioso britannico Martin Bernal nella controversa trilogia di saggi Black Athena, allude il progetto coltivato durante l’ultimo decennio da Ishmael Butler, in passato – con lo pseudonimo Butterfly –principale forza motrice dei Digable Planets, abili innestatori di jazz sul tronco dell’hip hop.
Affiancato dal pluristrumentista Tendai “Baba” Maraire, Butler ha definito nel tempo una reinvenzione di quel linguaggio influenzata dalle visioni musicali degli “afrofuturisti” Sun Ra e George Clinton, ma sensibile anche al dub extraterrestre di Lee “Scratch” Perry e alla techno abissale dei Drexciya: percorso avviato nel 2011 con Black Up e culminato tre anni fa nel parto gemellare di Quazarz, monumentale opera ispirata alla fantascienza black di Octavia Butler, Andre Norton e Richard K. Morgan.
Se il solco nel quale scorre il flusso dei “sogni di diamante” è il medesimo, muta in qualche modo l’ambiente sonoro, rendendo l’esperienza d’ascolto meno impegnativa. Diviso in due parti, ciascuna aperta da un “portale”, settentrionale l’uno (“Panthera”) e meridionale l’altro (“Micah”), l’album si sviluppa con insolita fluidità ed espone un primo gioiello con “Fast Learner”, dove un groove pigro accoglie una narrazione da cui traspare l’opinione niente affatto nostalgica di Butler – forse perché padre di Lil Tracy, astro nascente nella zona “emo” della trap – sullo stato delle cose: “Età dell’oro, rabbia reindirizzata, muovendosi furtivamente sul palco, è una nuova era”, recitano i versi a un certo punto.
Poco dopo arriva “Chocolate Souffle”, che fin dal titolo riecheggia contenuti tipicamente “funkadelici”, ostentando fierezza afrocentrica (“Nato in una foresta d’oro, cinque regine nigeriane dallo spazio cantavano in coro per me”) e gusto per la sfida sul piano della contemporaneità (“Tu topo da dati, io acrobata del gergo nero, tu scrollatesti, io esploratore”).
Nella seconda metà spiccano invece l’ipnotico astrattismo di “Bad Bitch Walking” e, in chiusura, il languido umore R&B di “Reg Walks By the Looking Glass”, infuso tanto di aromi jazz quanto di devianza psichedelica.
L’insieme riafferma così lo status di Shabazz Palaces al vertice dell’avanguardia hip hop, in posizione estraniata dal mainstream del fenomeno, come dimostra indirettamente il marchio Sub Pop – etichetta simbolo del rock alternativo statunitense – che contrassegna questo disco e i precedenti.