Il primo disco della Yellow Magic Orchestra (insieme a Paraiso, a nome di Haruomi Hosono e Yellow Magic Orchestra) esce nel 1978.
Sono anni di ribollente fermento nella musica pop elettronica (e non solo) giapponese, grazie alle intuizioni e alla fervida attività di Hosono, Ryuichi Sakamoto e Yukihiro Takahashi, che facevano confluire in un affascinante intruglio materiali e suggestioni della più varia provenienza, dall’exotica ai Kraftwerk, dalla musica tradizionale al rock e alla disco music, passando per le intuizioni sperimentali dei compositori “colti” del tempo.
Attorno al disco di debutto del trio ruotano una serie di lavori solisti molto interessanti, alcuni dei quali recentemente ristampati in vinile (a volte per la prima volta fuori dal Giappone) dalla WeWantSounds, cui va il merito di reimmettere in circolazione, con una certa dose di ben riposto hype, musiche spesso ancora elettrizzanti.
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È certamente il caso del disco di debutto solista di Ryuichi Sakamoto, Thousand Knives Of, titolo che richiama la definizione dell’esperienza sotto mescalina da parte di Henry Michaux. Il musicista è qui alle prese con la consueta abbondanza di sintetizzatori e tastiere (a programmarle è l’eminenza grigia Hideki Matsukate).
Sei pezzi, a partire dalla sintetica title-track, passando per la rumoristica “Island Of Woods” e “Grasshoppers”, con il pianoforte a sgocciolare quelle dolcezze che ben conosceremo poi dagli sviluppi dell’arte di Sakamoto, per giungere nel secondo lato all’omaggio kraut di “Das Neue Japanische Elektronische Volkslied” e alla confetteria synth-pop di “Plastic Bamboo” e “The End Of Asia”, che non a caso entreranno anche nel repertorio della Yellow Magic Orchestra.
Influenze europee, di bossa nova e di chanson sono invece alla base di Saravah!, lavoro solista di Yukihiro Takahashi. L’inizio è di quelli che fanno fare un balzo (anche un po’ d’orrore kitsch) agli ascoltatori di lingua italiana: “Volare (Nel blu dipinto di blu)” è proposta qui in una versione lounge Luna Park in bilico sul filo del coltello del gusto, ma in un certo senso stabilisce il mood per tuffarsi con spensieratezza giocosa nel resto del lavoro.
A subire il “trattamento” Takahashi sono infatti anche “C'Est Si Bon" e “Mood Indigo”, accanto a piccole gemme come il morbido funk di “La Rosa” con Hosono al basso o il technicolor disco di “Elastic Dummy”. Molto nipponico, molto anni Settanta, da usare per cene e cocktail party, di sicuro effetto.
All’epoca anche la cantante Akiko Yano (ne abbiamo parlato qui) era del giro, in quanto moglie di Sakamoto.
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La ristampa di Iroha Ni Konpeitou ci fa riscoprire uno dei suoi lavori più belli e funky: registrato tra Tokyo e New York, riprende nell’iniziale title track il legame con il sound americano (coinvolti sono Rick Marotta, Will Lee e David Spinozza), ma poi consente alle composizioni della Yano di dispiegarsi con equilibrio tra acustico e elettronico, non rinunciando mai alle possibilità pop della ricerca sonora.
“Hourou” o “Ike Yanegida” rivelano ancora una contagiosa qualità cantabile, non mancano i riferimenti southern (“Ai Ai Gasa”) o quelli più cheesy-soft come nel caso della ballata “On The Way Home”, con la Yano sempre molto abile nell’evitare i luoghi comuni vocali e a mantenersi luminosa nel canto.
Tre ristampe che gli appassionati di Giappone, ma non solo, non si lasceranno sfuggire.
Ryuichi Sakamoto
Thousand Knives Of
WeWantSounds
1978, rist. 2019
Yukihiro Takahashi
Saravah!
WeWantSounds
1978, rist. 2019
Akiko Yano
Iroha Ni Konpeitou
WeWantSounds
1977, rist. 2019