Dr. John, l'armonia in noi e il paradiso in terra

Addio a Dr. John, maestro della musica di New Orleans. Un'intervista del 1970 – tratta da The Smith Tapes – per ricordarlo

Dr John
Dr John sulla copertina di The ATCO Album Collection
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Malcolm “Mac” John Creaux Rebennack, alias Dr. John, è morto ieri, 6 giugno 2019, per un attacco cardiaco. Nato nel 1940 (o 1941 secondo altre fonti), Dr. John è stato tra i più influenti sessionman del blues di New Orleans, pioniere nella mescolanza di stili e suoni diversi, musicista e cantante rispettato e amato da colleghi e fan in tutto il mondo.

Per ricordarlo riproponiamo un estratto da un’intervista del 1970, raccolta dal giornalista radiofonico Howard Smith nel 1970 a New York. L’intervista è inclusa nella raccolta di conversazioni “ritrovate” di Smith The Smith Tapes, a cura di Ezra Bookstein, pubblicata in Italia da EDT. La traduzione è di Marco Bertoli.

Dr. John
Dr. John (foto di Bruce Weber)

SMITH: «Che cosa facevi prima di diventare “Dr. John the Night Tripper”?».

DR. JOHN: «Ero un musicista di studio, avevo una band a New Orleans. Suonavo, insomma. Ti parlo più o meno dal 1957 fino al 1962 o ’63».

SMITH: «Come si chiamava la tua band di allora?».

DR. JOHN: «Beh, a seconda di chi accompagnavamo. Per un po’ ci siamo chiamati Frankie Ford & the Thunderbirds, poi Jimmy Clanton ’n’ the Rockets... Dipendeva da chi era il leader. Il mio lavoro, essenzialmente, era di tenere insieme la band per accompagnare chiunque avesse fuori un disco e trovasse le date». 

SMITH: «Ma all’epoca tu non eri mai il leader?».

DR. JOHN: «Sì, è capitato. Se per esempio non c’era nessuno da accompagnare che avesse un disco, e quindi non ci arrivava nessun ingaggio decente, trovavo qualcosa io, per me e per il gruppo che mettevo insieme. Magari lo chiamavo Spider Boy and the Spiderwebs, cose del genere. Radunavamo chi capitava ed ecco fatta la band, perché laggiù tutti sapevano suonare: se conoscevi il repertorio di Ray Charles, un ingaggio lo trovavi. Un’altra band che avevo si chiamava Mac Re- bennack and the Hurricanes... Poi The Dominos, The Spades... Ne avevamo di nomi... Trovavamo da suonare soprattutto nella zona di Jefferson Parish, localacci più che altro, dei bar con musica dal vivo dove si suonava soprattutto per chi era venuto per tutt’altro – ci siamo capiti. Non erano ingaggi di classe, proprio no, prendevamo quello che capitava. Bisogna pur vivere in un modo o in un altro, e noi facevamo così». 

SMITH: «Quando sei venuto via da New Orleans?».

DR. JOHN: «Facevo delle tournée con piccoli show itineranti che radunavano un po’ di complessi diversi, poi nel ’63 o ’64 sono venuto via, sono andato a L.A. Sono stati Harold Battiste, Charlie Green e J.W. Alexander che mi hanno fatto una testa così per trasferirmi. Dicevano: “Qui come musicista di studio c’è da fare i milioni” e una cosa e un’altra».

«Ho cominciato a lavorare negli studi di L.A., poi sono finito in questo casino di dischi psichedelicisti e porcherie varie».

«Io ero contento e felice di fare la fame a New Orleans, e invece sono andato a fare la fame a L.A. Stavo per tornare indietro quando mi hanno procurato questi dischi con Sonny e Cheryl [sic]. Insomma, sono restato e ho cominciato a lavorare negli studi di L.A., poi sono finito in questo casino di dischi psichedelicisti e porcherie varie. Ma là ho cominciato a capire un po’ di cose».

SMITH: «Come musicista di studio te la passavi bene?».

DR. JOHN: «Ma sì, tanto per dire: se ora mi stufassi di quello che sto facendo, potrei tornare là e ricominciare. Ma non mi va di diventarci matto. Sai, il modo in cui fanno i dischi oggi, che registri lo stesso pezzo ottomila volte... Fesserie, fesserie. Ora come ora, l’idea che ho io di una seduta discografica e quella che hanno questi produttori sono come due pianeti diversi. Non mi dispiace affatto aver mollato il lavoro nei dischi, è diventato tutto un imbroglio».

SMITH: «Perché tu, invece, i tuoi dischi come li fai?».

DR. JOHN: «Ma niente, vado lì e li faccio. Proviamo un po’, poi dico al tipo di girare la manopola e di registrare tutto».

SMITH: «Cioè, tutto in una volta? Niente sovraincisioni?».

DR. JOHN: «È capitato, ma ogni volta che l’abbiamo fatto è venuto uno schifo, perché se sovraincidi tanto, alla fine suona falso. Non so, se registri i fiati dopo aver registrato la sezione ritmica, quei fiati avranno anche suonato tutte le note, belli intonati eccetera, ma non avranno lo spirito che avrebbero se si fossero davvero sentiti dietro la ritmica. Lo stesso quando si registra separatamente il cantato, o quel- lo che vuoi tu: il feeling genuino non lo riprendi più. C’è un album che abbiamo fatto tutto con sovraregistrazioni, Babylon: a risentirlo mi è sembrato una vera porcata. Per voler fare le cose troppo pulite anziché lasciarle andare naturalmente, non so, si era perso qualcosa. Capisci?».

[…]

SMITH: «Dove hai preso il nome “Dr. John the Night Tripper”?».
DR. JOHN: «Prima ero il Professor Bizarre. I musicisti mi chiamavano, boh, “Vescovo”, “Governatore”, cose così, poi per un po’ hanno preso a chiamarmi “Dottore” e ho deciso di tenere quello».

«Prima ero il Professor Bizarre. I musicisti mi chiamavano, boh, “Vescovo”, “Governatore”, cose così, poi per un po’ hanno preso a chiamarmi “Dottore” e ho deciso di tenere quello».

[…]

SMITH: «Quando suonavi a New Orleans, all’epoca, le band erano segregate? Era possibile avere una band mista, bianchi e neri, per suonare di fronte a...».

DR. JOHN: «Andavamo in giro con spettacoli che riunivano diverse band, ed erano misti eccome, sì sì. Lavoravamo intorno a New Orleans o a Jackson, Mississippi. E gli spettacoli, sì, erano integrati, anche se qui e là trovavamo delle parrocchie dove... Non so, per certi ingaggi avevamo James Booker, che è un pianista dell’altro mondo, e mi ricordo che una sera l’hanno fatto suonare da dietro una tenda, perché era nero. Sembra strano, eh, ma bisogna considerare dove eravamo. Ma in realtà, e parlo per me, le cose andavano meglio prima che certe parole cominciassero a circolare. Non posso dire per gli altri, ma quando quelle parole, “segregazione”, “integrazione”, hanno cominciato a circolare, all’inizio a me pare che siano servite, mah, come un mezzo per complicare di più tutto. Il primo jazz club integrato in America l’abbiamo avuto noi, a New Orleans. Era come il Blue Note, è rimasto aperto forse due settimane, poi c’è stata una retata e l’hanno chiuso. E questo succedeva subito dopo che, in teoria, le cose dovevano essere cambiate e invece a me pareva che fosse peggio. Prima, se non altro, potevi suonare con chi volevi». 

[…]

SMITH: «C’è altro che vuoi dire?».

DR. JOHN: «Il paradiso in terra... Vediamo di arrivare a uno stato d’animo condiviso, con un po’ di armonia dentro di noi. Ecco, oggi vi lascio con queste parole: non è l’armonia in sé, è l’armonia in noi. Se riuscissi a promuovere questo sentimento, credo che raggiungeremmo un po’ di paradiso in terra». 

«Non è l’armonia in sé, è l’armonia in noi».

 

Estratto dell’intervista tratto da The Smith Tapes (EDT, 2017)

Edizione originale: Ezra Bookstein, The Smith Tapes. Lost Interviews With Rock Stars & Icons 1969-1972 

Pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2015 da Princeton Architectural Press
37 East Seventh Street, New York 10003 www.papress.com

© 2015 Ezra Bookstein

© 2017 per l’edizione italiana EDT srl 

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