Se il danno è fatto
Al Maggio Musicale Le leggi fondamentali della stupidità umana, la nuova opera di Vittorio Montalti e Giuliano Compagno ispirata al saggio di Carlo M. Cipolla
È vero: gli stupidi stanno possedendo la terra e forse l’hanno sempre posseduta, e in ogni caso, oramai, “il danno è fatto”. Si dava al Teatro Goldoni per il Maggio Musicale Fiorentino 2019, che l’aveva commissionata, la nuova breve opera di Vittorio Montalti, Le leggi fondamentali della stupidità umana, la sua quarta, anche questa su un libretto di Giuliano Compagno, come sempre assai bello e raffinato. Compagno prende spunto dalle categorie e tipi umani del famoso pamphlet di Carlo M. Cipolla (Intelligente, Bandito, Stupido, Sprovveduto, qui soprano, contralto, tenore, baritono), ma poi, ci è sembrato, procede non diciamo in una direzione sua, ma certamente in una tonalità nuova. E si capisce perché: all’ esprit de géométrie e al divertito distacco del grande storico che scriveva nel lontano 1976, in tempi che oggi ci appaiono almeno culturalmente più felici, è subentrato il punto di vista di chi constata ciò che è avvenuto da allora ai nostri giorni – e su cui riteniamo superfluo dilungarci - e propone un nuovo stoicismo, illuminato e non difensivo, ma comunque stoicismo, come reazione a questo scenario di violenza e di follìa nutrita di futilità aggressiva e di agghiacciante non sapere e non capire. Basta lamentazioni e grida e battaglie che sappiamo perdute in partenza, però cerchiamo di rimanere noi stessi, e forse non a caso il testo di Compagno si chiude, come l’eliotiana TerraDesolata, con la bellezza delle parole: frammenti per puntellare la nostra rovina, davvero, e in questo caso il frammento è costituito da alcuni versi di Yeats di profondo e assoluto lirismo, significativamente affidati all’indifesa innocenza dello Sprovveduto mentre l’Intelligente non parla ma c’è: canta a bocca chiusa. Ma questa conclusione è di poco preceduto dalla riaffermazione della voce fuori campo che oramai il danno è fatto, come cantava Neil Young, e dunque “fattene una ragione”.
Per questo teatro musicale astratto e di idee e concetti, Compagno e Montalti hanno individuato le quattro allegorie di Cipolla come voci soliste, che si esprimono sullo sfondo sonoro dei tredici strumenti del ContempoArtEnsemble e dell’elettronica realizzata dallo stesso Montalti in collaborazione con il Conservatorio “Cherubini”. Ma nella polifonia di sillabe rimbalzanti fra le voci i ruoli appaiono interscambiabili, e a tirare le fila del discorso, enunciando la trasfigurazione poetica che Compagno fa delle cinque leggi di Cipolla, è una voce fuori campo registrata, quella pastosa e un po’ arrochita del regista Giancarlo Cauteruccio, che con la sua bella e pacata tornitura meridionale crea un contrasto quanto mai azzeccato con l’alienata e meccanica esuberanza del regno degli stupidi. E cioè, spiegava Cipolla, quelli che danneggiano gli altri senza vantaggio per se stessi, anzi, e il cui numero è ampiamente superiore a quanto comunemente si crede. Abbiamo visto la prima del 25 maggio, siamo tornati il 29, e seguendo meglio il filo del discorso di Compagno ci è sembrato qualcosa di veramente riuscito, che merita di non finire qui il suo viaggio. Montalti non ci propone niente che non abbiamo già sentito, frantumazioni sillabiche, polifoniche e poliritmiche, oasi liriche improntate a una vocalità onirica su tappeti elettronici, una sorta di neo recitar cantando alla Sciarrino di Lucimietraditrici, una spigolosità vocale da operina anni Cinquanta e Sessanta, e se la prima volta abbiamo desiderato qualcosa di più e di più nuovo, al secondo ascolto abbiamo ammirato come tutto questo si organizzi efficacemente, alternando arguti concertati a vivaci siparietti strumentali e ai momenti più lirici di cui abbiamo detto, in una progressione assai ben studiata. Molto bella era l’invenzione visuale e registica, con linee cangianti di raggi e sfondi geometrici tipici della visione teatrale di Cauteruccio e degli spettacoli della sua storica compagnia Krypton, per rappresentare una metropoli caotica e distopica ma ancora organizzata intorno ai segni di una vita e di una storia precedente, tra archeologia industriale e lager, con una partizione fra due livelli in cui l’azione si distende e si aggroviglia. Si proiettano in video e si vedono in scena tra i figuranti i documenti della tragedia umana, violenza gratuita, guerra e disordini, mentre in primo piano, sopra e sotto, i quattro solisti interpretano se stessi e anche le reciproche possibili combinazioni, dallo Stupido in abito da fantasista-Arlecchino che si fa i selfie al sensuale tango di Intelligenza e Sprovvedutezza, una metafora che vorremmo che si convertisse in realtà. Da lodare senza riserve la bacchetta di Fabio Maestri, la valentìa degli strumentisti del ContempoArtEnsemble e soprattutto i quattro interpreti principali, per la loro presenza generosissima ma esattamente calibrata di cantanti attori, Ljuba Bergamelli, Victoria Massey, Manuel Amati, Oliver Puerckhauer. Caloroso successo e ultima replica venerdì 31 maggio.
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