Alaide ? E’ in discoteca
Messinscena bizzarra ma buon esito musicale per La Straniera di Bellini diretta da Fabio Luisi al Maggio Musicale Fiorentino
La soave e lunare musa belliniana sembra eccitare più di altre gli istinti più protervi dei registi di oggidì. La cosa, più volte constatata, ha avuto la sua conferma nella Straniera che è in scena in questi giorni al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con un nuovo allestimento, come secondo titolo dell’edizione 2019 del festival dopo il trionfale Lear d’apertura. Una Straniera che ci è sembrata di pregio sul piano musicale, con la concertazione di Fabio Luisi nitida e attenta ai particolari più preziosi e innovativi di questa partitura bella e negletta, in particolare nella calibratura dei pezzi d’assieme, e con un cast vocale soddisfacente e che si studiava di rendere nel modo più giusto il cambio di passo, d’accento, di tono, di atmosfera che quest’opera in qualche modo segna nella carriera di Bellini. E infatti Salome Jicia (Alaide), Dario Schmunck (Arturo), Serban Vasile (Valdeburgo) e Laura Verrecchia (Isoletta) hanno ottenuto un ottimo successo personale alla fine della seconda recita dell’opera (16 maggio), quella a cui abbiamo assistito, e molto festeggiato è stato anche Fabio Luisi, con l’orchestra e il coro. Venendo alla messinscena, il discorso cambia, almeno per chi scrive. Verissimo quanto afferma l’esordiente Mateo Zoni nelle note di regia, che quello della Stranieraè un Medioevo così vago – così francamente pretestuoso, aggiungeremmo - che sarebbe un errore collocare il dramma di Felice Romani in un contesto visuale cronologicamente esatto. Tuttavia, quello che veniva a mancare era proprio questa - come dire ? – geniale e peregrina vaghezza di contorni a favore di percorsi più interiori e più onirici. Più belliniani insomma. Al contrario, altro che Medioevo atemporale ! il risultato era fin troppo chiaro: festa in discoteca a tema medievale con tocco fetish. Era questa l’idea d’insieme che risultava dalla somma di scenografia (Tonino Zera e Renzo Bellanca, sostanzialmente una serie di obelischi con specchi), costumi (Stefano Ciammitti) e luci (anzi per lo più non-luci, Daniele Ciprì). Maschere di ogni guisa ma più da Carnevale di Venezia un po’ sadomaso che altro, strani figuranti impegnati come cani nella battuta di caccia del primo atto e come aguzzini di un’Alaide spogliata del suo manto rivelando un costumino da burlesque, parecchi (troppi) luccichii di armature e ingioiellature con effetti tra saga fantasy e notti brave (in discoteca appunto), i villici che spiano la capanna di Alaide con movenze inequivocabilmente alla Gatto Silvestro, cori mossi con ricorrenti effetti a sfilata e a drappello che poi finivano per ricordare certe mitiche regie “all’antica”, come quelle di Margherita Waldmann che i vecchi critici ci raccontavano… per farla breve, c’era di che confermare che impegnare in Bellini un regista esordiente nell’opera può essere molto pericoloso. E questo proprio per la natura particolare della sua drammaturgia, con ciò che apparentemente le manca e invece c’è ma va cercato, e non per niente c’era uno che Bellini l’amava tanto e si chiamava Richard Wagner. Notevole e caloroso successo di pubblico, comunque, e teatro pieno. Ultima replica domenica 19 alle 15,30.
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