Lo straordinario panorama sonoro della Venezia del Cinquecento

A Companion to Music in Sixteenth-Century Venice, curato da Katelijne Schiltz, documenta lo splendore della musica veneziana

Musica a Venezia
Articolo
classica

Come doveva apparire Venezia agli occhi di un musicista rinascimentale, se non come una meta ambita, dove poter vedere riconosciuto il proprio talento e ricevere gratificazioni sia in termini di prestigio che di natura economica?

L’immagine comune della vita musicale veneziana del Rinascimento generalmente viene focalizzata sulla basilica ducale dove si svolgevano le cerimonie solenni e sfarzose che rappresentavano il potere della Serenissima, e nella quale operavano i più prestigiosi musicisti dell’epoca, ma dai diciotto saggi che compongono questo A Companion to Music in Sixteenth-Century Venice,
curato da Katelijne Schiltz (Brill, Leiden e Boston 2018, pp. 576, € 228), docente presso l’Università di Regensburg, emerge un panorama sonoro incredibilmente ampio, dettagliato e unico per la sua specificità. A Venezia la musica risuonava in tutti i suoi sestieri grazie alla quantità di chiese, conventi, confraternite, saloni di palazzi nobiliari e accademie, e agli stampatori e ai costruttori di strumenti musicali attivi nella città lagunare.

Nella prima parte del libro si parla delle istituzioni musicali che hanno contribuito ad alimentare il mito di Venezia, a cominciare naturalmente dalla basilica di San Marco dove si svolgevano le principali cerimonie del potere della Serenissima, e dove si celebravano le feste religiose e gli affari di stato, con una frequente sovrapposizione tra la sfera sacra e quella temporale, come descritto da Giulio Ongaro, docente della Chapman University di Orange, in California. La basilica di San Marco era la cappella privata del Doge, mentre la cattedrale era la Chiesa di San Pietro nel sestiere di Castello, e per tenere alta la fama e l’onore della Repubblica i Procuratori di San Marco, con la partecipazione del Doge stesso, selezionavano i migliori musicisti che venivano nominati maestri di cappella, coristi, organisti e suonatori di altri strumenti. La fitta rete di rapporti diplomatici permetteva di estendere la ricerca in diverse direzioni, e nel periodo d’oro della vita culturale e civile della Repubblica la guida di una delle più prestigiose istituzioni musicali d’Italia venne affidata al franco-fiammingo Adrian Willaert, e successivamente ad uno dei suoi più prestigiosi allievi, Gioseffo Zarlino, che aveva definito il suo maestro un “nuovo Pithagora”. 

L’influenza di Willaert si estese anche ad altri allievi e collaboratori, poiché alla morte di Zarlino gli subentrò Baldassare Donato, che era entrato nella cappella come "zago", ossia giovanissimo cantore, e poi Giovanni Croce. Nel suo saggio Ongaro parla anche del sontuoso stile musicale "veneziano" culminato nell’opera di Giovanni Gabrieli, la cui peculiarità era dovuta alla presenza di numerosi strumenti musicali che accompagnavano le funzioni religiose, e della pratica musicale che non si limitava solo alle esecuzioni nella basilica di San Marco, ma anche nelle più importanti chiese legate alle Scuole Grandi, ossia alle organizzazioni confraternali. La scrittura di parti soliste e corali distribuite in due o più cori, detti "spezzati" pur non essendo nata a Venezia, venne portata al suo massimo grado di splendore e il "bigonzo", il pulpito dal quale i cantori solisti dialogavano con i cori posti nelle due piccole gallerie ai lati dell’altare, e i due organi, imprimevano ai salmi una sonora solennità che era anche un segno di indipendenza da Roma, poiché la liturgia seguiva i dettami dell’antico rito patriarchino. Nelle festività solenni era richiesto l’intervento di numerosi strumentisti, e fra questi quelli di strumento a fiato tra i quali si distinguevano Giovanni Bassano, Girolamo Dalla Casa, e Silvestro Ganassi, questi ultimi due autori di importanti trattati sulla pratica strumentale. 

Il saggio di Jonathan Glixon, docente della Università del Kentucky, inizia paragonando i rintocchi delle oltre centocinquanta chiese della Venezia rinascimentale ad una sorta di composizione minimalista o a una performance di gamelan, e prosegue elencando la grande quantità di parrocchie, monasteri, conventi, e confraternite, ricordando anche le fonderie di campane poste tra San Marco e Rialto, principalmente nella Calle dei Fabbri. Il panorama sonoro veneziano era caratterizzato anche dalle processioni solenni che attraversavano i suoi sestieri, in particolare quelle delle Scuole Grandi e quelle della Signoria, che oltre a venerare i santi, San Marco in primis, celebravano anche eventi di carattere politico, soprattutto vittorie militari, e che partendo da Piazza San Marco, come raffigurato per esempio nel celebre dipinto di Gentile Bellini, si recavano nelle chiese designate esibendo le insegne sonore di tromboni e pifferi. 

Delle comunità monastiche, delle chiese parrocchiali e delle scuole tratta anche il saggio di Elena Quaranta, docente dell’Università di Venezia,  sottolineando la loro  importanza e il loro funzionamento, e a conclusione della prima parte il saggio di Iain Fenlon, docente presso la Cambridge University, prende in esame il ruolo svolto dalle accademie, comprese quelle di Padova e Verona che avevano legami con gli ambienti politici e culturali veneziani. Uno degli esempi più evidenti di questi rapporti era quello della Accademia degli Infiammati a Padova, città sede della prestigiosa università, e tra i suoi fondatori vi era il patrizio veneziano Daniele Barbaro,  amico di Palladio, e Leone Orsini, che era il patrono dello stampatore Antonio Gardano attivo nella città lagunare, e fra i suoi accademici c’era il poeta, attore e commediografo Angelo Beolco, detto Il Ruzzante. Della Accademia degli Eterei  fondata dal cardinale Scipione Gonzaga, faceva parte come maestro di musica Francesco Portinaro, che scriveva madrigali per il diletto dei suoi accoliti, raccolti e stampati nel Quarto libro del 1560. Gli interessi musicali della Accademia Olimpica di Vicenza erano noti, e per la rappresentazione inaugurale del celebre teatro omonimo commissionato ad uno dei suoi fondatori, Andrea Palladio, le musiche dei cori dell’Edipo Re di Sofocle vennero affidate ad Andrea Gabrieli. Tra i più importanti cenacoli Fenlon ricorda anche la Accademia Filarmonica di Verona e la Accademia degli Unisoni di Venezia, i cui interessi erano specificatamente musicali.

Matteo Pagan - Processione in San Marco
Matteo Pagan - Processione in San Marco

La seconda parte del volume costituita da due soli saggi è dedicata alla musica negli spazi pubblici e in quelli privati, poiché la vita artistica veneziana a differenza di altre città d’Italia era stimolata dalla convivenza e sinergia tra mecenatismo istituzionale, ossia pubblico, e mecenatismo individuale e privato dei patrizi e dei notabili che proteggevano gli artisti promuovendo il prestigio della loro immagine e in alcuni cassi commissionando la creazione di opere. Questa sezione si apre con un secondo testo di Fenlon che racconta la vita cerimoniale di Venezia costantemente segnata da eventi musicali, e le leggende, sapientemente orchestrate dal potere dogale, che hanno alimentato il “mito di Venezia”.

Il rapporto strettissimo tra politica e devozione ha le sue radici nella forte identificazione dell’Evangelista con la Repubblica, sulla base della leggenda delle spoglie del santo arrivate a Venezia da Alessandria trasportate da due mercanti nel IX secolo, e sulla storia della fondazione della città che si dice sia avvenuta nel giorno dell’Annunciazione. La Venezia cinquecentesca era regolarmente attraversata da processioni, e le più importanti, le “andate in trionfo”, vedevano la partecipazione del doge secondo un rigoroso protocollo dell’ordine di sfilata dei diversi gruppi che vi prendevano parte. La presenza delle trombe raffigurate in numerose fonti iconografiche dell’epoca  ricordava un’altra leggenda, quella del dono del papa Alessandro III di sei trombe d’argento al doge Sebastiano Ziani, e del cero che veniva portato in processione e acceso sotto l’altare dal doge in persona. L’impressione suscitata da queste spettacolari processioni doveva essere enorme, perché occupavano l’intera Piazza San Marco, coinvolgendo una grande quantità di persone, compresi gli ambasciatori che soggiornavano nella città. In occasione delle grandi feste del calendario liturgico oltre ai cantori e suonatori della Cappella Marciana era richiesta la partecipazione di altri musici, con  l’intervento delle autorità delle Scuole Grandi in un ambiente cosmopolita che comprendeva sia le comunità di stranieri che abitavano a Venezia, sia i visitatori stranieri di passaggio che soggiornavano temporaneamente nella città prima di proseguire il viaggio di pellegrinaggio verso la Terra Santa, presenti soprattutto nel periodo pasquale e in occasione della festa del Corpus Domini. 

Riscoprire la musica di Giovanni Croce

A conclusione di questa seconda parte il saggio di Rodolfo Baroncini esplora in profondità il sistema del mecenatismo privato, che rispetto a quello centrale delle istituzioni, costituito dalla Repubblica e dalla Chiesa, si ramificava in una rete capillare di legami di protezione e patrocinio che legavano nobili e facoltosi mercanti ad artisti maggiori e minori. Grazie ad un accurato lavoro di ricerca su documenti d’archivio, teso a mettere in evidenza questo aspetto poco noto della vita musicale veneziana, emerge una realtà molto più complessa rispetto a quella delle dediche delle raccolte di musiche da parte dei loro autori, che più che dimostrare un patrocinio effettivo poteva rappresentare una potenziale richiesta di futuro sostegno.

Lo spoglio di registri parrocchiali, contratti di matrimonio, testamenti e altre tipologie di documenti, ha permesso di ricostruire una rete di benefattori e di cultori dell’arte musicale rimasti fino ad ora per la maggior parte nell’ombra. A tale proposito il luogo di ritrovo nel quale la passione del fare e ascoltare musica convergeva in una dimensione di familiare intimità, era rappresentato dalle sale dei palazzi di patrizi e mercanti, i cosiddetti “ridotti”, che pur essendo simili alle accademie di stampo rinascimentale, erano prevalentemente luoghi di fruizione della musica nei quali i mecenati accoglievano i musicisti entrati a far parte della loro cerchia di conoscenze e di amicizia.

Nella celebra cronaca storica di Francesco Sansovino pubblicata nel 1581, Venetia città nobilissima et singolare, si legge: «Et oltre a ciò ci habbiamo diversi studi di Musica, con stromenti, & libri di molta eccellenza […]. Et oltre a predetti luoghi ve ne sono diversi altri per la città, con diversi ridotti. Dove concorrendo i virtuosi di questa professione, si fanno concerti singolari in ogni tempo, essendo chiarissima & vera cosa che la Musica ha la sua propria sede in questa città». Sansovino nomina alcuni di questi mecenati musicofili e fra i loro ridotti Baroncini ricostruisce i profili di Silvano Capello la cui grande casa da stazio era nel distretto di San Samuele, il quartiere dove risiedevano tra gli altri i Gabrieli, Merulo, i Guami e altri importanti protagonisti della vita musicale veneziana, e in particolare quello di Alvise Balbi, notaio bibliofilo e grande collezionista di strumenti musicali. Dai documenti dell’epoca si evince la sua predilezione per la musica strumentale, testimoniata anche dalla dedica di un trattato di Giovanni Bassano sull’arte della diminuzione, il musicista e teorico che insieme ai Gabrieli, a Baccusi e a Colonna frequentava il ridotto Balbi che si trovava nel dintorni di San Maurizio.
 

Frontespizio del trattato di Giovanni Bassano Ricercate
Frontespizio del trattato di Giovanni Bassano Ricercate

La terza parte del libro è dedicata agli attori della scena musicale, ossia i musici che operavano nella Venezia rinascimentale, a cominciare dai maestri di cappella dei quali parla il saggio di Francesco Passadore, docente di Storia della musica presso il Conservatorio di Vicenza e Presidente della Società Italiana di Musicologia.

Nelle istituzioni di minor rilievo questo ruolo veniva svolto da un organista o da un maestro del coro, mentre ad esempio nei monasteri più importanti come Santa Maria dei Frari, Santi Giovanni e Paolo, Santa Maria dei Carmini, Santa Maria della Carità e Santa Maria dei Servi era attestata la presenza di maestri di cappella. I nomi di rilievo riguardano la massima istituzione musicale della città, rappresentata dalla Cappella Marciana, alla cui guida si alternarono alcuni tra i più prestigiosi musicisti dell’epoca, che spesso operavano, anche parallelamente, nelle Scuole Grandi, in particolare in quella di San Rocco. Nella sua trattazione Passadore si concentra in particolare su Willaert e Zarlino, i più importanti maestri di cappella del Cinquecento, mentre Paolo Da Col, direttore dell’ensemble Odhecaton, esplora il variegato mondo dei cantori attivi a Venezia. La prima immagine evocata nel suo testo riguarda il panorama sonoro di una città molto popolata all’epoca, e animata da commedianti (dell’arte), "cantimpanca", imbonitori, cantori ciechi e altri, le cui voci dovevano risuonare lungo calli, campi e canali. Ma evidentemente la ricchissima vita musicale veneziana doveva attrarre numerosi "cantori stipendiati" in cerca di opportunità di lavoro e di protezione e patrocinio. Alcuni si associavano  per formare compagnie di "cantadori"  che prestavano servizio presso le scuole, compresa la Scuola Grande di San Marco. Molte delle attività artigianali e mercantili si svolgevano nei pressi di Rialto, dove si concentrava anche la maggior parte delle attività di formazione privata di cantanti e ballerini, oltre a quella praticata nelle chiese e nei conventi per formare i giovani chierici istruiti nell’arte del canto, oltre che nella grammatica.

Vizi e virtù di cantori e cantatrici sono riportate nelle cronache e nei trattati dell’epoca, a cominciare da Zarlino, che biasimava coloro i quali imitavano i gesti e le inflessioni vocali degli "zanni", i servi astuti o sciocchi della commedia dell’arte. La grande attenzione riservata alla musica strumentale trovava il suo punto d’incontro con quella vocale nella figura del "cantore al liuto" capace anche di improvvisare i suoi versi, il più famoso dei quali, Ippolito Tromboncino, figlio dell’altrettanto noto autore di frottole Bartolomeo, era molto apprezzato negli ambienti dotti ed era attivo nei migliori ridotti della città.  Fra tutti i cantori che operavano a Venezia, quelli della Cappella Marciana godevano di maggior prestigio e venivano attentamente valutati e selezionati prima di entrare a far parte dei famosi cori della basilica ducale. 

Il saggio di Bonnie J. Blackburn, studiosa indipendente membro della Oxford University, è dedicato agli strumentisti e ai costruttori di strumenti musicali prima del 1550, a cominciare dal celebre gruppo dei Pifferi del Doge, l’ensemble di strumenti a fiato che accompagnava il capo della Repubblica di Venezia nelle principali manifestazioni e celebrazioni pubbliche. Ma la vita musicale veneziana era ricca di attività ricreative nelle quali si richiedeva l’intervento di musicisti, come banchetti, feste nuziali, balli e altro ancora, come quelle promosse dalle numerose Compagnie della Calza che culminavano nel periodo del Carnevale. Organisti e clavicembalisti, liutisti e suonatori di pifferi e tromboni abbondavano a Venezia, e fra questi ultimi la famiglia dei Bassano raggiunse una tale fama da attirare l’attenzione del re d’Inghilterra Enrico VIII che ingaggiò alcuni componenti della famiglia tra i quali c’era anche un costruttore di strumenti. 

L’arte della liuteria veneziana era rinomata, e la maggior parte dei suoi artigiani  attivi soprattutto nella zona delle Mercerie nel sestiere di San Marco era di origine germanica. Ma a parte i liuti, i costruttori di altre famiglie di strumenti erano italiani e fra questi spicca il nome di Lorenzo da Pavia, i cui organi, clavicembali e clavicordi erano rinomati e che godeva della fiducia e della stima di Isabella d’Este e del papa Leone X, i nomi più illustri dei suoi committenti.

Il tema degli strumentisti e dei costruttori della seconda metà del Cinquecento è affidato a Jeffrey Kurtzman, docente presso la Washington University in St. Louis, e nella parte iniziale del suo saggio cita le numerose botteghe di costruttori di liuti presenti lungo le Mercerie, la via di collegamento tra Rialto e Piazza San Marco, tra quelle degli altri "marzeri" che vendevano tessuti, calze, guanti, occhiali, ferramenta e altre mercanzie. I "lauteri" erano abili nel costruire le diverse parti che costituivano i liuti che venivano assemblati nei luoghi di destinazione, i paesi dell’Europa del Nord, in particolare l’Inghilterra, e la Spagna dove esportavano anche chitarre. Tra i "marzeri" vi erano i "lireri" che costruivano strumenti ad arco, come lire e viole da gamba e da braccio, e poi violini. Per quanto riguarda gli strumenti a fiato, gli ottoni venivano prevalentemente importati dalla Germania, mentre i legni come flauti, cornetti, cromorni e pifferi, sebbene si sappia poco dei loro artefici erano costruiti a Venezia. A proposito degli strumenti a fiato Kurtzman, mette in rilievo l’importanza della famiglia Bassano, di Silvestro Ganassi autore di un trattato sul flauto, Opera intitulata Fontegara (1535), e sulla viola da gamba, Regula Rubertina (1542), e di Girolamo Dalla Casa, autore de Il vero modo di diminuir con tutte le sorti di stromenti di fiato, di corde e di voce humana (1584), oltre che suonatore di cornetto in San Marco assieme ai suoi due fratelli trombonisti. Inoltre in una città così ricca di attività musicali pubbliche e private, e piena di chiese e conventi, erano attivi numerosi "cembalari" e "organari" i più importati dei quali sono citati dallo studioso che fa parte del comitato editoriale del Journal of Seventeenth-Century Music.

In campo musicale Venezia eccelleva anche per l’intensa attività delle sue stamperie, e i suoi incunaboli seguendo le rotte degli scambi commerciali venivano diffusi in tutta Europa. Il saggio di Sherri Bishop, la giovane studiosa lecturer della Indiana University Bloomington, ritrae i principali protagonisti di questa importante attività, come Ottaviano Petrucci, Andrea Antico, Antonio Gardano,  Girolamo Scotto,  Francesco Rampazetto e Claudio Merulo. Come per il resto delle attività legate alla musica, anche la stampa dei libri di musica sacra e soprattutto profana era favorita dal mecenatismo e dal patronato che i notabili e i patrizi esercitavano promuovendo i musici che entravano nell’orbita del loro favore,  contribuendo ad indirizzare l’interesse e il gusto verso specifici generi musicali.

La stampa di libri di musica riguardava anche opere di natura teorica, e il saggio di Rebecca Edwards, visiting professor presso la Saint Martin’s University, è dedicato ai principali trattatisti, da Aaron a Zarlino, che con le loro speculazioni contribuirono a dare lustro al mondo musicale della Serenissima. Nella breve panoramica sul complesso campo della teoria musicale rinascimentale sono citate anche le numerose lettere del polemista bolognese Giovanni Spataro, maestro di canto della Basilica di San Petronio, indirizzate a Pietro Aaron, che rappresentano una preziosa fonte di informazione sulla musica dell’epoca. Aaron visse a Venezia per sedici anni, e al suo arrivo, nel 1523 diede alle stampe il suo Toscanello in musica, il cui titolo si riferisce alle sue origini fiorentine. Includendo anche l’apporto di figure secondarie come Giovanni Del Lago e Lodovico Fogliano al dibattito e alle polemiche intercorse fra i luminari della scienza musicale rinascimentale, il capitolo sui trattatisti si concentra su Nicola Vicentino, noto anche per la celebre disputa con Vicente Lusitano, e su Gioseffo Zarlino, il più prestigioso e autorevole teorico dell’epoca, che fu cantore nella Cattedrale di Chioggia e poi allievo di Willaert a San Marco. Prima di occupare il posto del suo maestro alla guida della basilica ducale, Zarlino fu cappellano della Chiesa di San Severo e poi del monastero di San Lorenzo, ed ebbe l’incarico di "mansionario" nella Scuola Grande di Santa Maria della Carità, facendo parte della prestigiosa Accademia Veneziana. Il suo trattato le Istitutioni harmoniche (1558) venne ristampato negli anni successivi, seguito dalle Dimostrationi harmoniche (1571) i cui cinque ragionamenti sono articolati in forma di dialogo. A conclusione del saggio vengono citati altri due musici autori di importanti trattati, l’agostiniano Lodovico Zacconi con il suo Prattica di musica e il francescano Girolamo Diruta con il suo Transilvano.

Il trattato di Zarlino
Il trattato di Zarlino

La quarta e ultima parte del libro contiene sei saggi dedicati a generi, stili e tradizioni interculturali. Il primo di David Bryant, docente della Università di Venezia, riguarda i celebri cori spezzati. La disposizione di cantori e strumentisti nelle due cantorie, pur non essendo una prerogativa veneziana divenne un elemento caratterizzante delle sontuose celebrazioni che si svolgevano nella Basilica di San Marco, che nelle solennità del calendario liturgico erano caratterizzate dall’intonazione dei salmi a doppio coro, con i cantori posti nel pulpitum magnum cantorum, il pergolo esagonale che si trova a destra dell’iconostasi.

Il saggio seguente, di Giovanni Zanovello, docente della Indiana University, è dedicato agli autori di frottole veneti, prevalentemente di Verona e di Padova. Prendendo spunto da quanto scritto da Giulio Cattin, al quale il saggio è dedicato, riguardo alla necessità di guardare all’apporto veneto, andando oltre l’asse Mantova-Ferrara visto come esclusivo luogo deputato dello sviluppo e diffusione della frottola, lo studioso mette in relazione la redazione padovana di fine Quattrocento del codice estense α.F.9.9 contenente numerosi strambotti polifonici, con i libri di frottole stampati a Venezia da Petrucci, e prendendo in considerazione l’ambiente di formazione e di attività dei compositori frottolisti nelle cattedrali venete, supera la visione consueta della frottola quale prodotto culturale esclusivo degli ambienti di corte mantovani e ferraresi.

Giovanni Gabrieli tra filologia e prassi contemporanea

Nel saggio dedicato alla musica strumentale veneziana del Cinquecento di Eleanor Selfridge-Field, docente presso la Stanford University, la città viene definita "una Mecca per i musicisti", e i suoi abitanti descritto come circondati continuamente da musiche proveniente da chiese, palazzi, scuole, ospedali, campi, campielli, calli e gondole. L’estensione dei territori dei suoi domini, le intense attività mercantili, e la presenza di numerose comunità straniere, rendevano la città il centro cosmopolita di un complesso di attività legate al mondo della musica. La presenza di suonatori, stampatori di musica e costruttori di strumenti musicali diede un grande impulso alla creazione e allo sviluppo dei principali generi di musica strumentale rinascimentali, come ricercare, canzona, toccata, e la edizione di alcuni tra i principali trattati dedicati a strumenti come flauto, viola, da gamba, cornetto, organo e clavicembalo favorì la loro diffusione e la pratica musicale, compresa quella amatoriale.

Il saggio di Daniel Donnelly, docente presso il Middlebury College, è dedicato alla lingua e allo stile delle composizioni polifoniche in dialetto veneziano, come le giustiniane, le greghesche, e le "bizzarre rime". Le prime legate al poeta Leonardo Giustiniani, le seconde al poeta, attore e musicista Antonio Molino, che come pseudonimo teatrale usava il nome Manoli Blessi, ma era noto con il soprannome "il Burchiella"; e infine le terze composte dal ferrarese Lodovico Agostini sui versi del  commediografo e attore veneziano Andrea Calmo. Il loro stile musicale si divide in tre principali categorie: quelle simili alle villotte,  quelle affini allo stile arioso, e quelle di stampo madrigalistico, con punti di contatto e interferenze fra loro e con una sorta di comune denominatore melismatico considerato come il tratto distintivo della loro "venezianità". 

Il penultimo saggio del libro, di Don Harrán (1936-2016) docente della Hebrew University of Jerusalem, è dedicato alla musica d’arte ebraica in Italia tra fine Cinquecento e inizio Seicento, e si concentra sulle figure di Davide Sacerdote, Salamone Rossi, Davit Civita, Allegro Porto e sul manoscritto Birnbaum 101, che viene messo in relazione con l’accademia musicale formata a Venezia nel 1628 dal rabbino Leon Modena, che accolse i musicisti ebrei che avevano abbandonato Modena.

L’ultimo saggio, di Ivano Cavallini docente dell’Università di Palermo, abbraccia i domini adriatici della Serenissima ed i suoi legami musicali con l’Istria e la Dalmazia, ricordando che Andrea Antico e Francesco Sponga Usper, entrambi attivi a Venezia, provenivano da queste regioni dell’Adriatico. Pur non potendo ricostruire la lista dei maestri di cappella attivi a Capodistria, Pirano, Zara, Spalato ed altri luoghi, i manoscritti musicali e le raccolte a stampa testimoniano la ricca rete di scambi e influenze che hanno caratterizzato la storia adriatica e la presenza e la coesistenza dell’italiano, del latino e del croato nei documenti ufficiali e nella letteratura e nella poesia. Anche intermedi, commedie e favole pastorali vennero tradotte, come ad esempio L’Orfeo di Poliziano e la Euridice di Rinuccini, e viceversa elementi della cultura dalmata circolarono nella letteratura ‘schiavonesca’ grazie anche a Zuan Polo, nome d’arte di Giovan Paolo Liompardi, attore comico che si ritiene nato a Dubrovnik. Non bisogna dimenticare che la centralissima Riva degli Schiavoni a Venezia, era l’approdo dei mercanti dalmati, e gli ‘schiavoni’ erano gli slavi dei domini adriatici della Serenissima, dove erano attive accademie e operavano musici, come ad esempio Gabriello Puliti, organista a Capodistria e a Pirano, che scrisse musica sacra, madrigali e mascherate.

Quale amante della musica dopo aver letto questo libro non vorrebbe aver vissuto nella Venezia del Cinquecento?

 

 

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