Il telefono nostro contemporaneo
A Madrid l'opera di Menotti
Quello che era ‘l’intruso’, che dal dopoguerra in poi era entrato nelle case delle famiglie, il famigerato telefono, oggi, nell’era degli smartphone, è quell’oggetto che si insinua in maniera insidiosa nelle relazioni interpersonali. E’ su questa chiave e in maniera essenzialmente garbata che viene presentato Il telefono di Giancarlo Menotti, nell’allestimento presentato al Teatro Real di Madrid, in una sezione di spettacoli mattutini, con un format per famiglie, come ‘opera per giovani’. L’operina viene come introdotta da una lunga e brillante introduzione da parte di Pepe Vihuela, un attore assai conosciuto dal pubblico spagnolo. Ed è per l’appunto sulla linea di un tono brillante e svagato, nell’ovvia attualizzazione della trama ingenua e un po’ demodé del libretto di Menotti, che si delinea una narrazione che, il regista Tomás Muñoz, mescola un approccio didattico con un’illustrazione garbata e ironica delle relazioni nell’epoca degli smartphone: il direttore d’orchestra entra distrattamente scrivendo messaggini, per poi alternare la bacchetta con il palo del selfie, così le tre coppie di ballerini - abiti vintage molto eleganti - sempre con il cellulare in mano, mimano alcuni gesti tipici della comunicazione che oggigiorno viene mediata da questo mezzo. Il due protagonisti quindi vengono introdotti da un’autopresentazione, in perfetto stile social media, proiettata su uno schermo dietro la piccola orchestra. Con la conduzione musicale di Jordi Navarro, agile e brillante, i due protagonisti si muovono perfettamente a loro agio, con Gerardo Bullón nel ruolo di Ben, l’impacciato fidanzato e di una disinvolta Sonia de Munck, nella parte della svampita ‘telefonodipendente’, agile nei movimenti, e nella conduzione vocale dei gorgheggi che costellano questa partitura, piacevole e musicalmente calibrato quindi il l’arioso duetto che conclude la breve opera.
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