Quell’insolita “Traviata” di Wilson e Currentzis 

Successo a Lussemburgo per l’opera verdiana in tournée da Perm 

La traviata  (Foto Lucie Jansch)
La traviata  (Foto Lucie Jansch)
Recensione
classica
Luxembourg, Grand-Théâtre
La traviata 
13 Ottobre 2018 - 17 Ottobre 2018

Che succede quando due artisti iconoclasti come Teodor Currentzis e Robert Wilson si incontrano? Ma è ovvio: fanno La traviataSe i melomani più melomaniaci arricceranno il naso già all’idea dello strano connubio, il risultato non è affatto privo di pregi, a patto di lasciare da parte un verdianesimo di bandiera. Dopo il fugace battesimo nell’austriaca Linz nel 2015, questa Traviata, approdata al Grand-Théâtre di Lussemburgo per tre affollate e festeggiatissime recite e quindi in concerto per due tappe tedesche a Dortmund e Amburgo, è da anni saldamente nel repertorio dell’Opera della sperdutissima città russa di Perm, dove da anni regna incontrastato il monarca assoluto Teodor I (e nel 2017 la produzione si è guadagnata tre Maschere d’oro, il premio più prestigioso del teatro russo, per direzione musicale, protagonista e luci). 

Robert Wilson non piace esibire emozioni sulla scena. Questa sua glauca Traviata è praticamente del tutto priva, come sempre, di scenografie sostituite da luci studiatissime. Quasi del tutto assente il rosso (unica eccezione le luci per zingarelle e toreri a Casa Bervoix), dominano i toni freddi del bianco e dell’azzurro nel fondale astratto e nei costumi senza tempo della tedesca Yashi. I movimenti sono antinaturalistici all’estremo e stilizzati come nell’Oriente teatrale: i convitati di Violetta si muovono a scatti e a saltelli nella festa del primo atto (una critica sulla vuotezza della società parigina dell’epoca?) mentre dall’alto scendono forme che sembrano enormi cristalli di ghiacchio che nemmeno il “Sempre libera” riesce a sciogliere. Mai i due amanti Violetta e Alfredo hanno un contatto fisico e mai abbandonano la loro gestualità ieratica, che è anche quella di tutti gli altri, nemmeno nel momento del supremo dolore. Nonostante il tardivo pentimento dei Germont, Violetta muore sola come, n fondo, sola è sempre stata. Idea stravagante? Mica tanto. 

Teodor Currentzis piace esibire la sua personalità di interprete e molto spesso lo fa imponendosi persino sul compositore. Eppure questo suo Verdi, che inizialmente spiazza per una sua certa compulsiva meccanicità (che, in fondo, è intonata alla chiave scelta da Wilson) invece si riscalda e si infiamma soprattutto nel secondo quadro del secondo atto in cui si respira finalmente il profumo del melodramma verdiano filtrato in una raffinata perfezione che investe anche il sussurrato e delicatissimo terzo atto. La cifra personale si coglie qua e là in alcune venali aggiunte apocrife (nel caos degli archi che segue la lettura della lettera di Violetta da parte di Alfredo e il raddoppio degli accordi orchestrali nel finale) ma soprattutto nel non arrendersi alla routine nemmeno nel titolo saldamente in testa nelle classifiche delle opere più rappresentate nel mondo. Ovviamente parte del merito va anche al mimetico virtuosismo di musicAeterna, la cui versatilità è davvero sorprendente in un repertorio vastissimo che va dal barocco al contemporaneo. 

Quando Currentzis mette la sua firma autorale, nessuno deve fargli ombra, tanto meno i cantanti, trattati più o meno alla stregua di orchestrali. In un’opera che in altre condizioni imporrebbe una presenza vocale importante da protagonista assoluta, sembra invece calzante la presenza di un’interprete dalla saldissima tecnica vocale e dallo strumento malleabile come Nadezhda Pavlova, nonostante manchi di quello spessore drammatico che spiega perché Violetta sia un personaggio maggiore del melodramma verdiano. Nonostante la doppia terapia Wilson-Currentzis, si muove lungo coordinate espressive più classiche l’Alfredo di Airam Hernandez e paradossalmente sembra più fuori sincrono rispetto a quello stravagante mondo espressivo. Se Dimitris Tiliakos sembra un Germont padre capitato lì per caso e per di più all’ultimo momento, del resto della compagnia così come del coro di musicAeterna si apprezza soprattutto per la rodata aderenza alle molte stravaganze di questa insolita Traviata (spassosi comunque i muti stupori “emoji” della Flora di Natalia Buklaga e le movenze sculettanti e saltellanti dell’Annina di Elena Yurchenko). 

Accoglienza calorosa, molti applausi. 

 

 

 

 

 

 

 

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