Un doppio Verdi nell’estate di Heidenheim
Nabucco e I Lombardi alla prima Crociata agli Opernfestspiele di Heidenheim
Si scruta ogni giorno il cielo nell’estate di Heidenheim. Se non piove, tutto è pronto per accogliere i quasi 900 spettatori fra gli spalti di quell’ala ancora in rovina del Castello di Hellenstein, che domina dall’alto la cittadina nell’estremo lembo orientale del Württemberg chiusa fra le verdi colline delle Alpi sveve. All’apparenza succede poco da quelle parti che, come il nostro Nordest, sembrano votate all’agricoltura e invece scopri che proprio lì rivendicano con orgoglio il primato dei brevetti industriali del paese e che una delle imprese più importanti nel settore dell’ingegneria meccanica a livello globale, la Voith, è nata proprio lì. E poi capita che uno dei cittadini di Heidenheim, il quarantottenne direttore d’orchestra Marcus Bosch, già direttore musicale ad Aquisgrana e a Norimberga, accetti di “tornare a casa” e di prendere le redini nel 2010 per far crescere questo appuntamento estivo con l’opera che vivacchiava dal 1964. Un impegno partito subito con la creazione di un’orchestra, la Cappella Aquileia (il nome è un omaggio alle radici romane della cittadina), che dal 2011, oltre a servire il festival, arricchisce anche l’offerta culturale di Heidenheim con una stagione sinfonica invernale, e, insieme con le autorità cittadine, consolida anche finanziariamente le basi del festival che oggi può contare su un bilancio di circa un milione e mezzo di euro assicurati per circa 1/3 da privati. Non tantissimo ma quanto basta per moltiplicare gli appuntamenti del festival con iniziative collaterali accanto alle due produzioni operistiche (che riscuotono l’interesse del pubblico, come testimonia il 99% dei posti venduti in media per ogni rappresentazione), rivolte a un pubblico trasversale e anche ai più giovani.
I titoli scelti per l’estate 2018 confermano la linea artistica decisa da Marcus Bosch per gli Opernfestspiele Heidenheim (ossia “OH!” secondo il logo-acronimo che promette stupore) e inaugurata nel 2016 con un titolo a vocazione “areniana” nel Castello e uno, in versione semiscenica, scelto dalla produzione del giovane Verdi “verdiana”. Dopo Oberto e Un giorno di regno, quest’anno toccava ai Lombardi alla Prima Crociata in felice combine con l’altro titolo in cartellone, il Nabucco: due opere praticamente coeve – I Lombardi vedono la luce nel 1843 alla Scala, un anno dopo il successone scaligero del Nabucco – ma segnate da sorti divergenti sul piano della popolarità e della conoscenza successive.
Interessante preambolo all’esecuzione dei Lombardi è stata un’edizione speciale del “Quartetto dei Critici”, con Eleonore Büning della Neue Zürcher Zeitung e attuale presidente del Premio discografico dei critici tedeschi (violino primo), Albrecht Thiemann di Opernwelt (violino secondo), Markus Thiel del Münchner Merkur (viola) e il veterano Jürgen Kesting (violoncello). Dopo un’attenta disanima comparata dei principali passaggi dell’opera in diverse registrazioni, il verdetto unamime è andato a favore della registrazione Decca del 1997 diretta da James Levine con June Anderson, Samuel Ramey e soprattutto un radioso Pavarotti.
Note diverse per lo spettacolo andato in scena in versione semiscenica nello spazio al chiuso del Centro Congressi del Festival, la struttura congressuale aperta una decina di anni fa a poche decine di metri dal Castello dall’ottima acustica. La scena di questi Lombardi è ridotta a un grande tavolo – che è altare, desco familiare, catafalco funebre alla bisogna – i costumi di Janine Werthmann sono da grandi magazzini e il regista Tobias Heyder non fa molto più che organizzare entrate e uscite dei personaggi e tentare, molto timidamente, di riconciliare le non poche incongruenze di un plot che oscilla fra rancori e vendette familiari e una posticcia cornice storico-religiosa. Come spesso nel primo Verdi la musica aggiusta molte cose e non sono poche le pagine ispirate di questa partitura che non è solo cabalettismo compulsivo. Va dato atto al direttore Marcus Bosch di aver fatto un ottimo lavoro sul suono della Cappella Aquileia e sulla cura del dettaglio strumentale (ottimo l’assolo del violino di spalla Felix Giglberger che apre terzo atto). Purtroppo più di una debolezza si ascolta nella distribuzione vocale, nella quale solo Anja Jeruc nel fondamentale ruolo di Giselda offre una prova davvero convincente. Non è così per il primo tenore Marian Talaba, un Oronte vocalmente gracile e inesistente sul piano interpretativo. Meglio l’altro tenore, il focoso Léon de la Guardia come Arvino, e soprattutto il basso Pavel Kudinov come Pagano, ma per entrambi va notata una certa approssimazione stilistica. Poco più che funzionali gli altri. Manca il colpo il Coro Filarmonico Ceco, preciso e partecipe ma privo di quella pienezza di suono che nei grandi cori verdiani è fondamentale.
“Iddio del suo poter die’ segno”: chissà se quel segno era la pioggia caduta generosa già dal mattino, che lasciava poche incertezze sulla necessità di ripiegare al Centro Congressi anche per Nabucco, constatata l’impraticabilità della scena all’aperto. Spettacolo dalle ambizioni piuttosto elevate ma dai risultati piuttosto modesti, funestato da una regia che riusciva a combinare un “Konzept” scriteriato con una realizzazione all’insegna dell’approssimazione per non dire della sciatteria. Facendo di necessità virtù (per così dire), la regista Helen Malkowsky rileggeva l’opera verdiana come affare di famiglia ebrea con tavola imbandita e menorah in evidenza, con zio Nabucco, ex-militare rimbambito su sedia a rotelle (chiaramente il fulmine divino ha già colpito), assistito dalla badante Abigaille in camicie bianco. Profluvio di kippah e talled mentre gli assirobabilonesi si vedono solo nelle breaking news dei tre schermi sul fondo scena e soprattutto si ascoltano soltanto, essendo per lo più nascosti nei due praticabili sui lati della scenografia essenziale di Harald B. Thor. Debole già in partenza, lo spettacolo si sfalda strada facendo fra insensatezze e approssimazioni di ogni sorta. Anche musicalmente non sono poche le note dolenti a cominciare dalle voci male assortite nel complesso. Randall Jakobsh è un Zaccaria stentoreo e dall’articolazione impossibile, Ira Bertman come Abigaille avrebbe un certo carattere e soprattutto un grande vigore vocale ma la zona acuta è del tutto fuori dal suo controllo, mentre Antonio Yang è il solo a imbastire un fraseggio plausibile e probabilmente farebbe molto meglio se non fosse funestato dalle scemenze della regia. Poco più che corretti ma lasciano poco segno il trio di Adrian Dumitru (Ismaele), Katerina Hebelkova (Fenena) e Eva Bauchmüller (Anna). Dimenticabili sia Andrew Nolen (il Gran sacerdote di Baal) e Christoph Wittmann(Abdallo). Anche nella seconda prestazione e forse anche più che nei Lombardi, scopre i suoi limiti nel repertorio operistico il Coro Filarmonico Ceco, che nel Va pensierostrappa solo un modesto applauso di cortesia. Se lo spettacolo va comunque in porto è soprattutto per l’impegno del giovane direttore Marijn Simons che guida con un certo vigore gli Stuttgarter Philharmoniker, l’altra compagine orchestrale in forza a Heidenheim, che in questo Nabucco dimostra eccellenti qualità musicali.
Risultati a parte, l’anno prossimo ci si riprova a Heidenheim. E ancora con un altro Verdi giovane, quello di Ernani, e con La dama di picche all’aperto. Se il cielo di Heidenheim lo vorrà.
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