La tensione di Cardillac
Luisi e Binasco per l'opera di Hindemith che ha aperto il Maggio Musicale Fiorentino
E’ cominciato bene questo 81° Maggio Musicale Fiorentino, con Cardillac di Paul Hindemith (versione 1926) diretto da Fabio Luisi, un allestimento senza mende, un ottimo cast. Cardillac lo si era visto tanti anni fa, ma non tanti da cancellarlo dalla memoria degli spettatori più fedeli, nel memorabile allestimento Bartoletti-Cavani, ma questa edizione, per molti aspetti, non ci è sembrata da meno. Hindemith è uno di quei compositori di cui i musicisti non possono non apprezzare la maestria, ma che non sempre parla alle orecchie del pubblico con lo stesso appeal di compositori a lui in qualche modo accostabili, come Stravinskij o Prokof’ev. a meno che non ci sia un interprete che ne trova la chiave. Ed è stato così, perché la direzione di Luisi ha mantenuto una linea convincente, in cui sotto la post-espressionista Nuova Oggettività di Cardillac, fatta di contrappunto, di ferme e spigolatissime linee orizzontali, di timbri chiari e puliti ma in combinazioni nuove e moderne, era sempre avvertibile una tensione espressiva costante, di conio antiromantic e spiazzante rispetto alla coinvolta narrazione, poniamo, del coevo Wozzeck, ma comunque, in questa lettura, davvero assai coinvolgente, affilata sul mistero di questa storia inquietante di un artista che non riesce a separarsi dalla sua opera e diventa un assassino. Ben assecondata, la bacchetta, dall’orchestra, dal coro istruito da Lorenzo Fratini, coinvolto in poderosi e complessi fugati come in movimentate scene notturne di terrore, e dall’ottimo cast, voci di presenza e incisività, Martin Gantner, Cardillac, Gun-Brit Barkmin, la Figlia, Ferdinand von Bothmer, l’Ufficiale, Pavel Kudinov, il mercante d’oro, Johannes Chum, eccellente Cavaliere, la veterana Jennifer Larmore, la Dama. Valerio Binasco, al suo debutto come regista d’opera, ha impostato una lettura chiara, lineare e senza sovrapposizioni interpretative di troppo, e ci sono piaciute molto le scene di Guido Fiorato, una metropoli-Metropolis indefinita e scabra, tutta svolta in un gioco modulare di interni-esterni. Successo veramente ottimo e repliche il 9, 12, 15 maggio.
Questo Cardillac arrivava poi a conclusione di una lunga giornata inaugurale che ha manifestato chiaramente la volontà del Maggio di tornare ad essere la situazione in cui la cultura e l’arte in città tirano le fila e collaborano, aperta la mattina dalla prolusione di Bernardo Valli all’Università, sul filo del tema di quest’anno, “Dialoghi ai confini della libertà”, proseguita con gli ottoni del Maggio che suonavano sotto la Loggia dei Lanzi e le voci bianche con Rodolfo Alessandrini al pianoforte e strumentisti della Scuola di Musica di Fiesole, che al Museo Zeffirelli proponevano, tra l’altro, l’ultimo, delicato pezzo di Daniele Lombardi, da poco e prematuramente scomparso. E ancora, nel parco davanti al teatro, dalle 17 in poi, “Firenze 1944 Grande Adagio Popolare” per cittadini, danzatori e performers, ideato da Virgilio Sieni, suggestiva commistione di tanti, anziani e giovani, professionisti e no, secondo il vangelo di Sieni della “democrazia del corpo”, tutti in bianco e con maschere di Pulcinella, sul prato e sulle linee oblique delle scale che affiancano il corpo principale dell’edificio, poi, dopo l’opera, volendo, una tappa nella vicina Leopolda per lo spettacolo “gemellato” di Fabbrica Europa, festival anch’esso in partenza, e in conclusione i fuochi d’artificio sparati dalla cavea superiore del teatro, buon augurio, lo speriamo, per la rinascita del Maggio.
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