Jim O'Rourke e le canzoni. Un viaggio in dieci tappe da leggere e ascoltare: dall'epifania di Eureka, 1999, alle meraviglie di Simple Songs, 2015.
Tante, tantissime sono quelle che ha scritto. Affidandole a dischi pubblicati in proprio, a raccolte, tributi e progetti estemporanei. Molte quelle che ha interpretato, facendole proprie con geniale semplicità. Jim O'Rourke e le canzoni. Un amore travolgente, compulsivo. Alimentato dalla totale padronanza dell'arte di produrre e di arrangiare (per Wilco, Sonic Youth, Beth Orton, Joanna Newsom), ma anche, e soprattutto, da una convinta e personalissima visione del mestiere di autore. Che nella sempre più ardita e sfaccettata identità sonora dell'alchimista di Chicago (improvvisatore e compositore totale per antonomasia), rappresenta una sorta di isola felice al centro di un mare eternamente in tempesta.
1. "Eureka" – Eureka (1999)
Impossibile non partire da qui. Da Eureka, il disco, e da “Eureka”, la canzone. La più famosa, celebrata e citata tra quelle a firma Jim O'Rourke (per informazioni al riguardo citofonare Otomo Yoshihide). Nove minuti abbondanti di maestosa e straziante dolcezza, sulle ali di Terry Riley, Roy Harper e Van Dyke Parks. Un crescendo implacabile e fragile scandito da arpeggi cristallini e da brulicanti fantasmagorie di synth. Con i fiati a sottolineare il momento di massima tensione emotiva e un finale liquido nel quale annegare. C-a-p-o-l-a-v-o-r-o.
2. "The Workplace" - Halfway to a Treeway (1999)
Stesso anno per un EP che è una sorta di postfazione a Eureka. E per una canzone, “The Workplace”, che è un pretesto per un complicato ed entusiasmante gioco di sponde tra la voce e la chitarra acustica. Fino alla lunghissima coda, strutturata attorno a un irresistibile refrain.
3. "Venus in Furs" - Rabid Chords 002: VU Tribute (2000)
Prima cover, prima (oscura) compilation. L'omaggio collettivo (e in gran parte giapponese) è ai Velvet Underground, con O'Rourke impegnato in una versione tagliente e marziale di “Venus in Furs”, tutta chitarre e riverberi.
4. "Get a Room" - Insignificance (2001)
Due anni avanti rispetto a Eureka per il disco gemello Insignificance. Registrato come il precedente con il supporto dei musicisti del giro di Chicago (i Wilco Jeff Tweedy e Glenn Kotche in prima fila, ma anche Rob Mazurek, Darin Gray e Ken Vandermark). “Get a Room” la perla tra le perle (per quanto pianga il cuore a relegare al secondo posto “Therefore I Am”. Ma tant'è: la vita è fatta di scelte). “I'd like nothing more to do, than to watch the desperation on your face”, canta Jim raccontando di amore e disillusione. Chitarre ficcanti in apertura, improvvise dilatazioni, finale sul velluto con la cornetta di Mazurek a chiudere il cerchio.
5. "Answer to Your Question" - Born Again in the Usa (2006)
Il disco è il secondo dei Loose Fur, il supergruppo nato da una costola dei Wilco e completato da Jeff Tweedy e Glenn Kotche. La canzone, “Answer to Your Question”, è la quintessenza del lato romantico e fatalista di Jim O'Rourke, scarna e raffinata nel narrare un'altra storia di sofferenza e di incomprensione.
6. "Viva Forever" - Guilty by Association (2007)
La cover che non ti aspetti, a conferma di quella fascinazione per il versante “pop” che è figlia (anche) dell'ossessione per Burt Bacharach. Una super hit delle Spice Girls trasformata in una pensosa riflessione impastata di Chicago sound. Con archi sognanti e chitarre a reinventare le trame e a stravolgere gli orizzonti. Un saggio di visionaria padronanza dei mezzi piazzato a metà di una compilation che si diverte a giocare con gli stereotipi, affidando brani portati al successo da Mariah Carey, Take That e Oasis a gente come Bonnie Prince Billy, Geoff Farina e Mike Watt.
7. "Pictures of Adolf Again" - United Red Army (2008)
Dalla colonna sonora di un film del regista giapponese Koji Wakamatsu, l'inchino a un autore amato e riverito: Bill Fay. Con una versione di “Pictures of Adolf Again”, tratta da Time of the Last Persecution, rispettosa e magistrale. Forse un pizzico più barocca rispetto all'originale, ma tremendamente riuscita.
8. "Close to You" - All Kinds of People: Love Burt Bacharach (2010)
Il disco della confessione, interamente dedicato da Jim a uno dei padri nobili della canzone americana. Omaggiato per la prima volta in Eureka, con una stratosferica rilettura di “Something Big”, e qui protagonista assoluto. Non tutto funziona, è vero, forse l'emozione, il troppo che stroppia, ma quando parte “Close to You” c'è solo da levarsi il cappello: semplicemente una cover perfetta.
9. "Hotel Blue" - Simple Songs (2015)
Un disco intero di canzoni. Non succedeva dal 2001, dai tempi di Insignificance. Quattordici anni di attesa ripagati con moneta sonante. Otto le meraviglie concepite, abbozzate, arrangiate e messe su nastro con il supporto di una band composta esclusivamente da musicisti giapponesi. Meraviglia tra le meraviglie, "Hotel Blue": "The shadow you're seeing, has nowhere to go, there's no way of saying, just go home". La chitarra acustica in apertura, il pianoforte alla maniera di un Bacharach timido, la voce rassegnata, un paio di tocchi di slide. E poi i violini a guidare l'ennesimo, lancinante crescendo. Tre minuti a volte bastano per dire tutto.
10. "Sad Eyed Lady of the Lowlands" - Blonde on Blonde Revisited (2016)
Il capolavoro assoluto di Bob Dylan riletto e rivisto in un doppio LP uscito con la rivista britannica Mojo. Della partita, tra gli altri, Kevin Morby, Steve Gunn, Michael Chapman, Malcolm Middleton, Ryley Walker e, appunto, Jim O'Rourke. Alle prese con una "Sad Eyed Lady of the Lowlands" che dell'originale conserva magicamente il mistero e la leggerezza, virando allo stesso tempo verso atmosferte più scarne e rarefatte. A sorreggere la voce – mai così precisa, mai così intensa – un ordito di chitarre, percussioni e field recording: passi distanti, il frinire delle cicale, un'automobile che accelera, una sirena in lontananza, il vociare di una strada affollata nella quale poco a poco la canzone si perde. Fine del viaggio.