La musicalità di Giulio Caccini a Napoli
L'Associazione Scarlatti di Napoli propone un bel concerto con Roberta Invernizzi, Ugo di Giovanni e Franco Pavan
Questo è l'anno di Giulio Caccini (1545-1638) e l'Associazione Scarlatti di Napoli, subito a ridosso di inizio 2018, esalta la musicalità facile, ricca, estrosa e comunicativa del compositore italiano insieme a suoi coevi: da Monteverdi a Robert Johnson, John Dowland, Henry Purcell e Giovanni Girolamo Kapsperger in un concerto a "voce sola (ma accompagnata)" - come si legge dalle note di sala di Fabris, ovvero la "canzone" in forma monodica.
Roberta Invernizzi l'ha raccontato con una tavolozza di gesti vocali cangianti, uno per ogni aria, declinati con maestria e sorriso, sul palco del teatro Sannazzaro lo scorso 25 gennaio. Insieme, e a volte con passaggi solistici, Ugo di Giovanni all'arciliuto e liuto e Franco Pavan alla tiorba e liuto si alternavano in arie con ritmo esatto, veloce a volte umoristico. La musica del sedicesimo secolo non è mai facile. Richiede voci e strumenti dalla tecnica smagliante, costruita su frasi brevi e caratterizzanti, ha temi essenziali.
L'intero concerto gioca in superficie sull'aria per voce sola accompagnata e intermezzi strumentali di passacaglia, fantasie e l'Arpeggiata di Kapsperger – quest'ultima in un'esecuzione monumentale dei due liutisti. Il soprano Invernizzi, tratteggia un Johnson iniziale in Full Fathom Five, Hark, hark! The Lark a volte sfilacciato in timbro, parola, affetti. Canta Purcell invece con colore tondo, portamenti: possiede arguzia e espressività con quel pizzico di lamento naturale, che incarna le passioni e il vero. Sono la dolcezza di suoni chiari della sua voce e il carattere cristallino dell'interpretazione a esaltarne la prova, per una sala quasi piena nei posti, ma piena al completo di applausi ed ovazioni.
La seconda parte del concerto approda a un'altra dimensione interpretativa, plasmata sulle morbidezze del canto italiano, dove Invernizzi è soprano ideale: perfetta timbricamente, restituiva tutta la contraddittorietà dei testi poetici. Equilibrata in Dolcissimo Sospiro e Dalla Porta d'Oriente di Caccini, inquieta e graffiante in Disprezzata Regina da l'"Incoronazione di Poppea" di Claudio Monteverdi. Trasversale, usciva anche il buon intreccio dei vari pezzi strumentali, con efficaci slanci di "vocalità cameristica": questo a rivelare il tratto originale dei compositori del Rinascimento. Stanato anche nelle sonorità eccellenti da Pavan e Di Giovanni, con gestualità vistosa, e strumenti in bello spolvero, mai con sbalzi timbrici eccentrici. E la bravura dei due liutisti italiani sta proprio nel vincere la passionalità dell'elemento folklorico su cui lo stile spesso fa perno. A tratti più pacato, concludono il programma brani di Monteverdi, tutti sulla soglia tra parlato e cantato, qui la Invernizzi incisiva più nella parola che nel timbro, giustamente - un piacere quest'equilibrio sul filo del rasoio. Pubblico esaltato. Ed in bis, il trio reinventa Amarilli in tutte le sue possibili sfumature timbriche.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Jonas di Carissimi e Vanitas di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento
Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.