Doppio Orlando con Mineccia e Onofri
Vivaldi, Haendel, Palestrina nei primi concerti del Roma Festival Barocco
Si svolge dal 19 novembre al 19 dicembre il Roma Festival Barocco, che ovviamente è dedicato soprattutto al barocco, ma non solo. Sabato scorso si è fatto in tuffo nel Rinascimento, ma ai confini del barocco, quasi a dimostrare che queste sono soltanto periodizzazioni di comodo. Si è ascoltata infatti la prima esecuzione moderna in edizione critica di un’opera dell’ultimo periodo di Palestrina, la Messa “Fratres ego enim accepi” a otto voci, raro esempio di musica per due cori del princeps della scuola romana, che smentisce la formuletta secondo cui la musica policorale sarebbe un marchio esclusivo della scuola veneziana. In questa splendida composizione non solo si fondono l’orizzontalità del contrappunto rinascimentale, la verticalità accordale della nuova sensibilità barocca e lo splendore del dialogo tra i cori ma si avverte anche una nuova espressività che si aggiunge alla purissima perfezione di Palestrina, come nel dolente ma dolcissimo “Crucifixus”. Il Coro Musicanova, diretto con rigore e competenza da Fabrizio Barchi, ha dimostrato che a Rona e nell’Italia in genere non mancano complessi in grado di eseguire adeguatamente la grande polifonia e questo dovrebbe incoraggiare la creazione a Roma di un festival dedicato al Cinquecento, quando la città dei papi fu la capitale europea della musica.
Il festival riserverà al suo pubblico - tutti i concerti sono gratuiti - molte altre scoperte, come la prima esecuzione moderna delle Cantate da camera di Giovanni Lorenzo Lulier (9 dicembre) e di musiche sacre romane di autori quasi totalmente sconosciuti dell’inizio del ‘700 (19 dicembre).
Si penserebbe invece che non potesse riservare sorprese il concerto di cui qui si riferisce, dedicato ad autori notissimi quali Vivaldi e Haendel. Ma non è stato così. Innanzitutto non si sono riproposti i soliti concerti di Vivaldi ma due lavori strumentali pressoché ignoti. Il primo era la Sinfonia in do maggiore, che fa pensare che il Prete rosso abbia dato un contributo importante anche ai primordi della sinfonia da concerto. L’altro era il Concerto “La Conca”: un curioso concerto – forse il più piccolo di Vivaldi, circa tre minuti in tutto – in cui l’orchestra d’archi imita un raro strumento a fiato costruito appunto con una conca, una conchiglia. Contro ogni pronostico Vivaldi veniva però sconfitto sul campo della musica strumentale da Haendel, che scendeva in lizza con due Concerti grossi dell’op. 6, il settimo e il dodicesimo, pubblicati a Londra nel 1739 ma ancora fedeli ai modelli di Corelli ascoltati a Roma più di trent’anni prima. Per questo motivi sono talvolta considerati come opere un po’ attardate e prive di originalità ed eseguiti di conseguenza in modo un po’ piatto. Per apprezzare tutta la prorompente che Haendel vi ha riversato - severi e superbi i movimenti lenti iniziali, magici l’Aria e il Largo e piano centrali, irrefrenabili i finali - bisognava ascoltarli diretti da Enrico Onofri (anche violino solista) con l’Orchestra Nazionale Barocca dei Conservatori, un gruppo quasi perfetto, che non impallidisce davanti ai più noti ensemble specializzati. Un bravo! alla viola Domenico Scicchitano e al violino Victoria Melik per i loro interventi solistici.
Il nucleo di questo concerto era però il confronto tra l’Orlando di Vivaldi (1727) e quello di Haendel (1733). La forzata rinuncia di Sonia Prina, che è stata rimpiazzata con brevissimo preavviso da Filippo Mineccia, ha reso necessario il sacrificio di alcune delle arie in programma, cosicché ne sono rimaste tre di Haendel e una di Vivaldi, troppo poco per azzardare un confronto, ma abbastanza per apprezzare la grande varietà e la straordinaria forza espressiva che nelle loro mani può raggiungere l’aria nelle opere del Settecento, che un tempo si dicevano fatte con lo stampino. Mineccia le ha cantate con sicurezza assoluta, anche nelle vorticose ornamentazioni e nelle puntate all’acuto, dove però il timbro e il volume si assottigliavano moltissimo. Ma le arie prescelte erano prevalentemente cantabili e si sviluppavano nel registro centrale e qui il contraltista fiorentino ha potuto dare il meglio di sé, conquistando il pubblico, che ha preteso un bis. E a questo punto tra Vivaldi e Haendel si è inserito come il classico terzo incomodo Alessandro Scarlatti, con una ninna nanna dall’oratorio La Giuditta, dolcissima, tenerissima: quanto deve amare il suo pargoletto questa mammina, peccato però che sia Giuditta a cantarla ad Oloferne, un attimo prima di tagliargli la testa! Diabolico.
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