Washington sotto le stelle

Con il suo gruppo sui Colli Euganei

Recensione
jazz
Anfiteatro del Venda Padova
27 Agosto 2016
“Guardatevi intorno, guardate le stelle: è il posto più bello in cui abbiamo suonato. Siete pronti per partire? Andiamo!”. Nel cuore dei Colli Euganei, all’anfiteatro del Venda, tutto esaurito, Kamasi Washington ha aperto di ottimo umore due ore di musica ricca di energia, di lirismo, di dialoghi sonori. In primo piano il sax tenore di Washington e le tastiere di Brandon Coleman: insieme sanno esprimere una capacità dinamica che spazia dal sussurro a escursioni magmatiche travolgenti, sorrette dai riff del contrabbasso, volentieri suonato con l’archetto, di Miles Mosley e dalle batterie di Tony Austin e Robert Miller. Un ruolo di alter ego del leader se lo ricava il trombone di Ryan Porter, mostrando un rapporto telepatico con il sax del leader che sfocia in riff e staccati capaci di imprimere nuove direzioni ai brani, specie quando ai due fiati si agganciano le voci sempre sostanziose delle tastiere di Coleman. Il risultato è un registro più estroverso rispetto all’album triplo “The Epic” che un anno fa ha decretato la fortuna di Kamasi Washington e del suo gruppo, andando a stanare un felice connubio fra la tradizione jazz, nuove sonorità black e personali azzardi armonici e melodici. Un lavoro discografico definito da varie testate autorevoli fra i più interessanti del 2015 col risultato di far accorrere ai concerti una parte di pubblico in genere non molto interessato al circuito jazz. Sul Venda si è sentito: applausi e fischi di incoraggiamento partivano spesso durante gli assolo e trovavano una band che sa stare al gioco, mettendo volentieri in mostra la perizia tecnica e la voglia di leggere la notte a tutto volume. Ma all’interno dl gruppo c’è anche spazio per il contrappunto e per due voci maggiormente intimiste. Se le incisioni realizzate a casa, nella West Coast potevano contare su una dozzina di musicisti, la dimensione “on the road” ha ridotto la band a otto musicisti. A riprendere uno dei tratti distintivi di “The Epic” non poteva mancare una voce, quella di Patrice Quinn, a suo agio sia negli unisoni e nelle armonizzazioni dei temi accanto alle linee dei fiati, sia come voce solista di brani chiave del gruppo: dalla rilettura di rhythm changes a quella di Cherokee, brano che “The Epic” propone in chiusura e che il concerto vede fra quelli di apertura a testimoniare il rapporto di rispetto e di rilettura delle radici musicali del gruppo: un rapporto molto speciale per Kamasi Washington che ha scelto proprio questo brano per introdurre in scena anche il padre, Rickey Washington, al soprano, il membro dell’ottetto cui riserva spazi solistici di grande intensità. E’ il maestro cui devo tutto”, afferma, senza mezzi termini. Va detto che il leader ha parole di lode sperticata per ognuno dei compagni di viaggio ed è sempre ricambiato da generose prove strumentali. La geometria variabile dell’ensemble sa ricavare anche spazi per dialoghi a due: notevole quello fra i due batteristi, in bilico fra la capacità sinergica di completarsi l’un l’altro in frasi di ampio respiro e la voglia di mostrare ognuno le proprie peculiarità, ora swing, ora funky, all’interno di dinamiche di volume che sanno pescare anche da sonorità sommesse. La stessa intenzione con cui Kamasi Washington e Brandon Coleman affrontano “Claire de lune” di Debussy, poi banalizzata dall’accompagnamento in quattro di Mosley e Miller, ma felicemente rilanciata dal leader che ne fa un brano solare a coinvolgere l’intero gruppo. La stessa solarità che gli arrangiamenti di Porter infondono al brano calypso, con metronomo velocissimo a dar sfogo alla perizia tecnica dei musicisti. Pubblico in piedi per i tre bis che partono di nuovo con la poesia del dialogo improvvisato fra Kamasi Washington e Brandon Coleman e raggiungono il climax con ritmi scanditi e volumi senza più freni.

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