Il mito del Golem

A Mannheim la novità "Il golem" di Bernhard Lang da Gustav Meyrink

Recensione
classica
Nationaltheater Mannheim Mannheim
Lang
16 Aprile 2016
"Il golem" di Gustav Meyrink è certamente uno dei romanzi più indecifrabili di inizio ’900 ma anche uno dei più fertili, se si considerano le opere maggiori che vi si sono ispirate, in primis il capolavoro dell’espressionismo cinematografico di Paul Wegener. Alla stessa fonte si ispira la nuova opera dell’austriaco Bernhard Lang commissionata dal Nationaltheater di Mannheim dove l’opera è andata in scena in prima assoluta. Nel romanzo di Meyrink il golem – una sorta di Frankenstein il cui mito affonda le radici nell’Antico Testamento e ha attraversato secoli di cultura ebraica – è una presenza solo evocata più che fisica, una sorta di coscienza collettiva dell’umanità del ghetto di Praga che fa da sfondo alla vicenda. E, se possibile, è anche meno presente è nel trattamento librettistico per l’opera di Lang curato da Peter Missotten, videoartista belga e a lungo collaboratore di Guy Joosten, al Nationaltheater per la prima versione scenica anche regista, scenografo e light designer. La voce dell’io narrante di Meyrink, che esalta il carattere visionario e psichico del racconto già dalla sua indefinita identità (Athanasius Pernath è solo un nome che il narratore legge all’interno di un cappello), inevitabilmente si perde nel libretto che invece presenta il piccolo mondo di personaggi del ghetto: il mentore Schemajah Hillel, il maligno Aaron Wassertrum qui come doppio dello studente Charousek, l’amata Mirjam e gli altri. I loro contorni sono però indefiniti come indefinito è il disorganico tessuto drammaturgico organizzato in 22 capitoli, come gli arcani maggiori dei tarocchi (e non a caso il prologo è intitolato al matto, come il golem simbolo dell’energia originaria del caos). Anche nella realizzazione scenica, più performance che teatro in senso stretto, Missotten non colma i vuoti narrativi puntando a una realizzazione organica, che del resto non si ritrova nemmeno nella musica di Berhnard Lang più che mai "monadica" nelle caratteristiche sezioni ripetute e pertanto disorganica financo nell’eterogeneità delle sue cellule tematiche costitutive (canzoncine infantili, corali religiosi, valzer burleschi, movimenti di jazz). Se anche questo lavoro complesso e non sempre di facile lettura viene accolto con particolare calore dal folto pubblico presente in sala lo si deve ancora una volta soprattutto all’impegno collettivo di un teatro che, sotto l’illuminata gestione di Klaus Peter Kehr, ormai alla sua ultima stagione, ha saputo darsi un alto profilo nelle creazioni contemporanee. Va dato comunque atto all’ottimo lavoro di concertazione del direttore Joseph Trafton sui validissimi strumentisti dell’orchestra del Nationaltheater, a Francesco Damiani e Aki Schmitt per la preparazione del coro particolarmente incisivo nei brevi interventi e a tutti gli interpreti, fra i quali si distinguono il protagonista Raymond Ayres e il giovane Alin Deleanu nel doppio ruolo Charousek-Wassertrum risolto con sinuosa e anfibia vocalità.

Note: Prima rappresentazione assoluta. Commissione del Nationaltheater di Mannheim. Date rappresentazioni: 16, 21, 28 aprile; 22 maggio; 10 giugno; 10 luglio 2016.

Interpreti: Raymond Ayers (Athanasius Pernath), Raphael Wittmer (Zwack / Wenzel / Schaffranek), Gary Martin (Prokop / Polizist / U-Richter / Portier), Alin Deleanu (Charousek / Wassertrum), Astrid Kessler (Angelina / Kellnerin), Steven Scheschareg (Hillel / doppio di Athanasius Pernath), Uwe Eikötter (Laponder / Ferry), Marie-Belle Sandis (Mirjam), Nick Bos, Jelle Hoekstra e Casper Wortmann (performer)

Regia: Peter Missotten

Scene: Peter Missotten

Costumi: Lotte Milder

Orchestra: Orchester des Nationaltheaters Mannheim

Direttore: John Trafton

Coro: Chor des Nationaltheaters Mannheim

Maestro Coro: Francesco Damiani e Aki Schmitt

Luci: Peter Missotten

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Torino: inaugurazione di stagione con Le nozze di Figaro

classica

Saltata la prima per tensioni sindacali, il Teatro La Fenice inaugura la stagione con un grande Myung-Whun Chung sul podio per l’opera verdiana

classica

Jonas  di Carissimi e Vanitas  di cinque compositori contemporanei hanno chiuso le celebrazioni per i trecentocinquanta anni dalla morte del grande maestro del Seicento