Una burrasca per Cecilia
Il ritorno della Bartoli alla Scala ha scatenato una vera bagarre tra applausi e buu
Recensione
classica
L'atteso rientro alla Scala di Cecilia Bartoli, nel concerto inaugurale della stagione della Filarmonica, non si è risolto come previsto in una festa per la diva e i suoi fans. Nella seconda parte della serata, al termine delle due arie rossiniane da Otello e Cenerentola agli applausi entusiastici della platea e del loggione sono subentrati fortissimi buu, sonori e ripetuti, con grida di "Torna a casa", "Povero Rossini". Il bailamme non finiva più e prendeva forma una bizzarra polifonia di applausi e improperi. Ripresa con vigore anche dopo l'incauto bis concesso (un'altra volta dalla "Cenerentola"), tanto che Barenboim ha chiesto la parola per gridare "Siamo in un concerto, ora state tutti zitti!" In chiusura di serata la Sinfonia n. 40 di Mozart, in una buona esecuzione, ma non certo memorabile, è comunque servita a pacificare gli animi.
La serata si era aperta invece sotto i migliori auspici con la Sinfonia n. 33 di Mozart eseguita con minuzia di timbri, poi l'entrata di Cecilia Bartoli aveva riscosso grande entusiasmi. Un aria dal Teseo di Handel con bravissimi l'oboe e la tromba solisti, l'incanto di "Lascia la spina, cogli la rosa" dal Trionfo del Tempo e del Disinganno, in cui Barenboim aveva saputo controllare l'organico fino al sussurro. Tutto bene finché il mezzosoprano era rimasto barricato nei suoi amati barocchismi. La prima perplessità la si era avuta nell'"Exultate jubilate" di Mozart, scelto da Bartoli solo per esibire agilità nell'Alleluja, ma risultato appiattito in tutto il resto, specie nel "Fulget amica dies" che avrebbe dovuto comunicare mistero, attesa. Gli applausi non erano macati, il pubblico anzi si era divertito ai cambi di costume della cantante, prima in lungo verde a balze che la strizzava tutta, poi in una specie di frack con ricco jabot e polsini a svolazzo.
Peccato, perché dopo vent'anni di assenza Cecilia Bartoli non meritava un'accoglienza simile, quasi un'imboscata, forse dovuta allo spropositato cachet, che pare abbia preteso la cantante. Peccato, perché avrebbe fatto meglio a limitarsi al repertorio barocco, magari sfoderando qualche aria di Agostino Steffani, che ha registrato da poco, senza uscire dal suo seminato. Peccato, perché alla fine Barenboim era visibilmente stizzito. Ha volutamente ringraziato a lungo gli orchestrali girando le spalle alla sala, scambiando battute con loro, prima di girarsi, per po fare un rapido inchino e sparire. Speriamo che il suo perfido umore non abbia a inteferire col Lohengrin del 7 dicembre.
Stefano Jacini
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