Tre diaspore africane
Al Montreux Jazz Festival sei ore di intramontabili vecchie glorie
Recensione
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Sono il contrabbasso e il guiro cubani di Jose Angel Martinez e Eglis Ochoa ad aprire le danze e le lunghe cavalcate strumentali in un Auditorium Stravinski trasformato in pista da ballo; ma è, soprattutto, l'all-star maliana a far brillare Afrocubism, l'incontro a lungo agognato, nominato ai grammy, che a Montreux chiude la sua lunga stagione di concerti. In primo piano sono la voce di Kasse Mady Diabate, il balafon di Djelimady Tounkara, la chitarra di Kasse Mady Diabate, sempre a suo agio nei dialoghi elettrici con il pubblico, e la kora di Toumani Diabate, a ricordare a tutti 700 anni di memoria mandeng. È soprattutto con questi ultimi due che si intersecano le linee melodiche della chitarra del "comandante" Eliades Ochoa, felice "ponte" anche verso lo n'goni di Bassekou Kouyate: protagonisti, insieme, di una tonica "A la luna yo me voy" che non manca di ricordare a tutti i presenti quanto poco sia sostenibile il nostro approccio all'ambiente, ma senza perdere il buonumore: «Noi ce ne andiamo sulla luna, ma quando avremo le vacanze torneremo a trovarvi...».
Un ritorno atteso e gradito è stato quello dei Kassav, con un pubblico deciso a ballarsi tutti i classici sfornati in oltre trent'anni di attività, una vera e propria [i]Saga"[/i], come recita il triplo cd del 2009: "zouk" partorito a Parigi con gli ingredienti più piccanti delle Antille, abilmente cucinati dalla voce di Jocelyne Béroard e soci. Bene ha fatto il Montreux Jazz Festival a lasciare al sestetto di Jorge Ben Jor l'ultimo concerto, quello che non si vorrebbe mai chiudere: ritmica tirata e volentieri sguaiata, fiati (come nei due set precedenti) precisi e interessanti, soprattutto nel dialogo flauto-trombone, e cinquant'anni di iniezioni di adrenalina per "Animar a festa", non solo "Mais que nada"...
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