Un tram chiamato Dolore
Recensione
classica
Sì, sarà tutto un abbondare di troppo esplicite metafore (Blanche DuBois che arriva sui tram Desiderio e Cimiteri, che va nel quartiere dei Campi Elisi a trovare la sorella Stella in cerca di felicità, la magione avita perduta che si chiama Belle Reve come i sogni svaniti), ma anche così, messo in opera da André Previn per la San Francisco Opera nel 1998, il dramma di Tennessee Williams resta una delle più formidabili macchine drammatiche del Novecento. "Un tram che si chiama Desiderio" (il dibattito era aperto, ieri sera al Teatro Regio di Torino per la prima italiana con la direzione di Steven Mercurio e la regia di Giorgio Gallione, voluta dal direttore artistico e compositore Marco Tutino) è o non è nostro contemporaneo? Parla o non parla dei nostri vissuti? E quindi, questa è o non è una possibile ipotesi di opera contemporanea? C’è chi dice sì: quell’avvitarsi di progressiva malvagità, quel pervertirsi dei sentimenti in vendette, quel tralignare della poesia e dei sogni di bellezza in schifoso sorpruso quotidiano (ah, la crudeltà mentale!), sino allo stupro del rude Kowalski ai danni della "povera" Blanche, giunta a sprezzare una squallida ma solida casa in attesa di bebé americano, questo dramma scritto nel 1947 per un Marlon Brando esordiente e un regista come Elia Kazan, ebbene sì, hanno una potenza intatta e spietata. Tre ore e mezza tra opera e intervalli, con una musica che progressivamente, mentre si fanno largo dolore e deliquio, si distende dal nervosismo jazzy alla melodia un po’ musical e un po’ "aria della pazzia", sono un buon saggio di resistenza: per chi deve sopportare l’arrivo e la cacciata del cuculo-usignuolo Blanche da quel nido sordido, per chi deve sopportare che l’unica forma di linguaggio contemporaneo oggi potabile dal pubblico dell’opera italiana sia questo impasto americano di jazz e di musical che non disturba l’udito degli orfani di Puccini. Barbara Haveman è stata una Blanche molto buona, e con la Stella di Laura Cherici si è meritata applausi a fine "aria", come ai vecchi tempi dell’opera. Randal Turner, il canottierato "porco" Kowalski, marlonbrandeggiava con un gran fegato, e quei tre hanno abitato bene il villaggio palafitticolo e sgangherato che lo scenografo Guido Fiorato ha voluto imporre come sua ipotesi di soffocante squallido pericolante quartierino della marcescente New Orleans. Ma, come insegnano Tennessee Williams e Siddharta Gautama, è bene non illudersi mai, neanche sull’allestimento ideale di "Un tram chiamato Desiderio", non elaborare bellezze personali, pensieri mentali, poiché ne conseguono soltanto dolore e perdita di senno. Aderiamo, non ci opponiamo, sorridiamo.
Note: prima esecuzione italiana
Interpreti: Barbara Haveman, Randal Turner, Laura Cherici, Keith Olsen, Monica Minarelli
Regia: Giorgio Gallione
Scene: Guido Fiorato
Costumi: Guido Fiorato
Orchestra: Orchestra del teatro Regio
Direttore: Steven Mercurio
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