Jenufa e la mattatrice Silja

Recensione
classica
Deutsche Oper Berlino
Leos Janacek
24 Novembre 2002
Nuovo allestimento alla Deutsche Oper di Berlino di Jenufa. Si trattava in realtà di una coproduzione con Glyndebourne, quindi di uno spettacolo già visto nel 1989 in Inghilterra (e già in dvd: ArtHaus 100 208), firmato dal regista tedesco Nikolaus Lehnhoff, con le scene e i costumi di Tobias Hoheisel, e Anja Silja a farla da mattatrice. Allestimento che visivamente ricordava molto quello di Kátia Kabanová presentato a Glyndebourne l'anno precedente sempre da Lehnhoff e Hoheisel: il realismo slavo dell'opera tradotto in gesti molto semplici, rurali, anche violenti ma non enfatici, e le scene che sembravano dei quadri di Van Gogh, fatte di colori accesi - la rimessa rossa nel primo atto (che dipingeva una campagna un po' claustrofobica, chiusa da un pendio scosceso sul fondo e da profili neri di montagne), gli interni azzurri nel secondo e nel terzo - superfici sghembe, ma non astratte. Scene arricchite dai bei giochi di luce di Paul Hastie (quando Jenufa apre la finestra nel secondo atto la casa si inonda di luce blu) e movimentate dalle danze, che descrivevano con grande freschezza l'euforia generale per l'arrivo di Steva (esonerato dal servizio militare e completamente ubriaco), nel primo atto, e la commovente festa nuziale, nel terzo. Protagonista assoluta, e applauditissima, Anja Silja nei panni della austera sagrestana - va ricordato che nell'originale cèco l'opera si intitola Jejì pastorkyna (La sua figliastra), e pone quindi Kostelnicka al centro dell'azione, e che il titolo di Jenufa si affermò solo nella traduzione tedesca di Max Brod -. Nonostante un controllo della voce non impeccabile, la sessantaduenne cantante berlinese, si è imposta sulla scena con una forza espressiva straordinaria, forse ancora maggiore rispetto alla registrazione in dvd. Assolutamente rapinose la scena della straziante riflessione del secondo atto, quando Kostelnicka decide di sopprimere il neonato ed esce nella tempesta di neve. Con i suoni acuti della sua parte che si trasformavano in grida di dolore. E la scena della confessione nel terzo atto, nella quale la Silja appariva inizialmente pietrificata per poi dare volto, corpo e voce ad un processo di autentica catarsi. Più artificiosa sulla scena Amanda Roocroft, una Jenufa dotata di una voce molto bella e raffinata, ma talvolta sovrastata dall'orchestra o dalle altre voci. Bravissimo sia scenicamnete che vocalmente il Laca di Stefan Margita, tenore impetuoso, ma capace anche di toccanti pianissimo, mentre la voce dell'altro tenore Pär Lindskog (Steva) appariva un po' aperta e talvolta calante. Ottima la prova del coro diretto da Hellwart Matthiesen. Sul podio, Jiri Kout ha dato della partitura una lettura incalzante ed energica, di grande impatto drammatico, sottolinenado i diabolici ostinati, le fratture melodiche (che Janácek aveva mutuato dalle inflessioni della lingua ceca), sacrificando però qualche volta gli equilibri con le voci.

Note: in coproduzione con il Glyndebourne Festival

Interpreti: Laca Klemen, Stefan Margita; Stewa Buryja, Pär Lindskog; Die Küsterin Buryja, Anja Silja; Jenufa, Amanda Roocroft / Orla Boylan [30. Nov.; 7. Dez.02]; Altgesell/Dorfrichter, Gordon Sandison; Seine Frau, Eiddwen Harrhy; Karolka, Sarah Fox; Barena, Gudrun Sieber; Tante, Gabriele Goebbels; Magd, Andion Fernandez; Jano, Robin Johannsen

Regia: Nikolaus Lehnhoff

Scene: Tobias Hoheisel

Costumi: Tobias Hoheisel

Coreografo: Hellwart Matthiesen

Orchestra: Orchestra della Deutsche Oper

Direttore: Jiri Kout

Coro: Coro della Deutsche Oper

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