Fabio Vacchi e l'impegno sociale
È il Wozzeck di Fabio Vacchi: soluzione unica, cinque "sequenze" regolarmente scandite al loro interno, che hanno riportato successo caldo con qualche defezione
Recensione
classica
È il Wozzeck di Fabio Vacchi: soluzione unica, cinque "sequenze" regolarmente scandite al loro interno. C'è una bambina: all'inizio cura un gabbiano ferito, alla fine lancia speranza. L'allure non è nera e senza destinazione come quella berghiana: è positiva; Vacchi ama le circolarità (nel Viaggio, tempo fa col testo di Tonino Guerra e il percorso d'iniziazione di due vecchietti che raggiungono per la prima volta il mare, o Girotondo di Schnitzler), e anche qui rimette in gioco l'apertura dell'opera "Les oiseaux de passage", prima italiana al Comunale di Bologna dopo l'esordio coprodotto a Lione due anni fa per chiudere a finale lieto. Gli "uccelli di passaggio" sono i senza terra, il luogo è una locanda in un est Europa imrpecisato ma certo balcanico, serbocroato. C'è un violinista girovago (ancora, memoria del Viaggio), c'è un Passante, c'è uno che ce l'ha con gli immigrati e c'è un immigrato, ci sono donne d'alto e basso rango, ricche e povere. C'è molto teatro, in quest'opera di Fabio vacchi, la quarta del suo catalogo, scritta benissimo e benissimo suonata dai ranghi ridotti del Comunale, in grande spolvero, e assai bene cantata da un cast in cui eccellevano le donne. Dirigeva Claire Gibault, quasi unico contatto con la produzione francese che, in tutt'altra veste scenica e registica, anticipò questa sortita italiana. La Gibault è molto professionale e sa il suo mestiere; è peraltro piuttosto inesorabile e teme un tantino il respiro. Ma bella, bella produzione davvero. Daniele Abbado firma regia e impianto scenico. Qui, non per sua responsabilità, il neo dello spettacolo, abbastanza grave: chi era in sala al di sopra del primo ordine di palchi ha visto solo i piedi (e al terz'ordine già più nulla) nelle proiezioni che tre schermi lanciavano sullo sfondo dell'azione. Materiale visivo di qualità, tra René Clair, Duchamp e Godfrey Reggio se fosse possibile, con fine sensibilità fotografica: strade, povertà lacerti di mondo, oggetti, umanità che commentavano il dipanarsi sulla scena di amori e sconfitte, cantati coi sopratitoli sul bel libretto francese di Myriam Tanant. Definita "semi-staged" per un understatement anche eccessivo del Comunale, la produzione era in cartellone per i Concerti Sinfonici. Ha fatto conoscere in Italia l'ultimo lavoro di un Vacchi che ha affinato magistralmente gli strumenti compositivi e drammatici, giovandosi di un cast ben scelto e composto da Maryline Fallot, Pauline Elisabeth Courtin, Davide Damiani, Roberto Abbondanza, Carlo Allemano, Tiziana Tramonti, Alice Muzzioli, Jonathan Peter Kenny, Annie Vavrille e Michele Bianchini, con Duccio Ceccanti nel ruolo del violinista girovago. Successo caldo, con qualche abbonato fuggito per tempo e forse preoccupato più di non perdere la propria identità di sinfonico antioperista (è pur sempre la città italiana di Wagner) che non di dover soffrire la contemporaneità.
Note: nuovo all. in forma semiscenica, in lingua originale con sopratitoli in italiano. Prima rappresentazione italiana.
Interpreti: Fallot, Courtin, Damiani, Abbondanza, Allemano, Tramonti, Muzzioli, Kenny, Vavrille, Bianchini, Ceccanti
Regia: Daniele Abbado
Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore: Claire Gibault
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