A rischio la prima di sabato 27 a causa di uno sciopero che forse ci sarà e forse no, ma che in ogni caso viene a minacciare la lunga bonaccia sindacale del Comunale di Firenze, "Attila"di Giuseppe Verdi ha comunque avuto un'anteprima (di cui riferiamo) per gli invitati di un congresso. L'idea guida di questa bella messinscena di rigorosa concezione era quella di immergere la storia del Flagello di Dio (divenuto, nel dramma romantico di Zacharias Werner fonte di quest'opera, un "primitivo" magnanimo e leale) nell'atemporalità mitico-moderna delle sculture di Marino Marini, guerrieri e cavalli (video che enfatizzavano particolari delle opere, i famosi cavalli riprodotti in piccolo formato a reggere lo scudo-giaciglio di Attila, bellissimo, uno zoccolo gigantesco che sbuca minaccioso da una quinta), sculture scabre e materiche, linee forti tagliate nella pietra: un po' come quest'opera. Coerenti a questa idea le scene-bunker (Edoardo Sanchi), i costumi (Carolina Olcese) e gli spettrali tagli di luce (Guido Levi), che ospitavano una regia (Franco Ripa di Meana) che alludeva con appropriato codice gestuale e bel disegno dei movimenti di massa alla tragedia atemporale della migrazione/dispersione (le redingotes di Ezio e dei guerrieri parevano alludere però all'epoca asburgica), ma riusciva anche a suggerire lo stilizzato fervore di movenze del teatro romantico. La concertazione di Roberto Abbado, vigorosa e "barbarica" nei volumi e nell'energia, era però agile ed elettrica negli stacchi e negli andamenti - gagliardi incipit di polacca delle cabalette, l'infiocchettatura delle ardite marcette e bandine - ma anche distesa e romantica nei molti recessi tormentati e malinconici, quasi un anticipo di "Macbeth", dell'opera (il bel preludio, la romanza di Odabella "Tu nel fuggente nuvolo" e tanti altri): la linea più efficace per rendere giustizia a questo Verdi "degli anni di galera" per quello che è - al di là della vulgata verdiana evoluzionista che vi vede una mera fase preparatoria - ritrovandone le rettilinee grazie, anche nel melodizzare conciso e pregnante e ancora permeatissimo di quello spirito di belcanto che in quest'esecuzione aveva modo di distendere le ali nei da capo di cabaletta. Insomma, a dispetto della sua cattiva fama e cattiva stampa, questo "Attila" ha finito quasi quasi per sembrarci bello, di sicuro trascinante e romantico, anche perché sorretto da un cast di ottimo livello: l'Attila grandioso e tormentato di Ferruccio Furlanetto che a dispetto di una certa usura è tuttora in grado di riempire con la sua voce grande e importante l'ingrata acustica del Comunale, l'impeccabile Ezio di Carlo Guelfi, Kaludi Kaludow, Foresto attento a dosare le proprie forze ma complessivamente generoso, ma soprattutto la rivelazione (almeno per Firenze) di questo cast, Dimitra Theodossiou, Odabella, vocalmente e musicalmente interessantissima anche in un ruolo così pesante, a suo agio nell'aggressiva agilità delle cabalette come nei legati e pianissimo delle oasi liriche che contrassegnano i molti tormenti del personaggio. Completavano il cast con professionalità Alexander Anisimov nell'importante cammeo di papa Leone e Carlo Bosi, Uldino. Successo ottimo.
Note: nuovo all.
Interpreti: Furlanetto, Theodossiou, Guelfi, Kaludow, Anisimov, Bosi
Regia: Franco Ripa di Meana
Scene: Edoardo Sanchi
Costumi: Carolina Olcese
Coreografo: Sean Walsh
Orchestra: Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore: Roberto Abbado / Morandi
Coro: Coro del Maggio Musicale Fiorentino; Coro di Voci Bianchi della Scuola di Musica di Fiesole
Maestro Coro: José Luis Basso