La scena è un emiciclo candido attraversato in rigorose quanto ossessive geometrie da un gruppo di dervisci - turbante bianco, nerovestiti - e su cui incombe, sospesa a mezz'aria, una grande e non meno candida sfera calcata da un piede forte e vittorioso: la sfera è la terra e il piede è quello di Tamerlano, eroe eponimo dell'opera di Georg Friedrich Haendel su testo di Nicola Francesco Haim (Londra 1724) che riflette e romanza l'eco dello scontro fra il condottiero islamico di origine mongola e il sultano ottomano Bajazet, sconfitto nel 1402 e morto in prigionia. L'opera è andata su con memorabile e meritato successo al Maggio Musicale Fiorentino. Questo di Graham Vick con le splendide scene e costumi di Richard Hudson è un "Tamerlano" in bianco e nero su cui passa qualche brillante macchia di colore: l'elefante azzurro su cui giunge la principessa Irene, la statua-totem di un arciere vestito di rosso. Non un bianco e nero per chic, ma una scena appoggiata coerentemente ad una regia concettualmente rigorosissima, chiusa quasi del tutto alle consolazioni del solito Barocco-meraviglia: "Tamerlano" come tragedia della sopraffazione, dell'annientamento, della perdita, culminante nel suicidio dell'orgoglioso Bajazet, il tutto sostenuto da un codice gestuale stilizzato - arieggiante come spesso in Vick i generi del teatro orientale - e da geometrie di movimento di divina precisione. Ma in questa tragedia spetta alla musica incarnare le radici emotive, il sentimento, l'istinto, l'orgoglio di Bajazet, la baldanza sfrontata e "orientale" di Tamerlano, il legame padre-figlia, l'amore tormentoso e risentito ma intriso comunque di raciniana "tendresse" fra Andronico e Asteria. Un haendeliano linguaggio del cuore che prende forza particolare nel personaggio delicato ma fervidissimo di Andronico, modellato sulla voce del mitico Senesino, e in quello fosco e potente di Bajazet, uno dei pochi grandi ruoli tenorili di quest'epoca, scritto per Francesco Borosini. La concertazione di Ivor Bolton ne interpreta alla perfezione lo spirito, con seducente morbidezza e intensità di accompagnamenti, culminanti nei meravigliosi recitativi accompagnati di Andronico e Bajazet non meno che nelle arie d'amore e di furore di cui l'opera è piena; e ci ha colpito la capacità di Bolton di insegnare come si suona questa musica ad un'orchestra "normale" chiamata a realizzare messe di voce e ad evocare fiamme barocche di articolazione e di fraseggio. Alla bellezza della concertazione faceva riscontro un cast pregevole e tutto dotato di un'eccellente chiarezza di pronuncia. Bolton affida per lo più a interpreti donne le parti scritte per i castrati, e, nonostante la difficoltà di tessiture comunque assai gravi per corde femminili, i fatti gli hanno dato ragione con il Tamerlano sfrontato e sornione di Monica Bacelli e ancor più con lo squisito Andronico di Sara Mingardo, ma benissimo anche la limpida ed eroica Asteria di Elizabeth Norbeg-Schulz, la fosca Irene di Laura Polverelli, Umberto Chiummo come Leone e anche Bruce Ford come Bajazet, paradossalmente proprio in virtù dello spicco che la sua vocalità rossiniana dava, in questo cast, al possente e leonino Bajazet.
Note: nuovo all.
Interpreti: Bacelli, Ford, Norberg-Schulz, Mingardo, Polverelli, Chiummo
Regia: Graham Vick
Scene: Matthew Richardson
Costumi: Matthew Richardson
Coreografo: Ron Howell
Orchestra: Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore: Ivor Bolton
Coro: Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Maestro Coro: José Luis Basso