La Biennale celebra Grisey
L'omaggio al compositore francese
Recensione
classica
A Biennale appena conclusa, ciò che più salta all’occhio è l’alternanza di concerti dal programma fortemente cristallizzato dal passare del tempo ad altri dove regna la ricerca più pura. Nel primo gruppo va sicuramente inserito il concerto tenuto dall’Orchestra di Padova e del Veneto, nel quale il direttore Ivan Fedele sembra aver voluto offrire una panoramica sullo sviluppo della musica di quei compositori italiani per così dire di fascia intermedia, o meglio, che hanno preso in consegna l’eredità dei Maestri del periodo di Darmstadt (Nono, Maderna) e che oggi incarnano la figura di predecessori dei nuovi nomi del panorama musicale, Francesco Filidei tra i più noti.
Al confuso riferimento alla musica di Beethoven racchiuso in Gegenliebe (2011) di Sylvano Bussotti, sembra corrispondere l’essenza della nuova commissione che la Biennale ha affidato a Luca Mosca, in cui il titolo (Nothing) descrive perfettamente la successione stilistica dei vari momenti musicali che instancabilmente si affannano al canto del soprano sostenuto dal fischio del mezzosoprano, o viceversa. Mentre Michele dall’Ongaro edifica con abilità le sonorità patinate di Checkpoint , Azio Corghi ripropone in un suo brano storico il rapporto tra lo strumento solista e l’orchestra d’archi. Tra tutti, spicca brillantemente Più mosso di Giacomo Manzoni, presentato qui in prima esecuzione italiana, in cui i due pianoforti sostengono e amplificano il discorso avviato dall’orchestra d’archi, spesso con risvolti profondamente drammatici, dovuti anche alla sensibilità del Duo Alberti - D’Errico nel saper approfondire sulla tastiera il gesto strumentale, amplificandolo.
Su questa base, il Portrait Gérard Grisey si presenta come uno degli appuntamenti più radicali di tutto il festival. Lo testimonia l’affluenza di pubblico che, tolti i compositori presenti in sala al concerto dell’Opv con il relativo seguito di fan, come da tradizione ha potuto contare su un esiguo numero di ascoltatori - perché si sa, la musica contemporanea è destinata a un pubblico di nicchia - ma non per questo meno caloroso. Nonostante siano passati ormai diversi anni e diversi ascolti di vario tipo, la musica di Grisey sembra custodire vivacemente la freschezza del suo piglio esplorativo nell’ambito dell’analisi dei fenomeni fisici del suono, suscitati da un provocatorio contrasto di sonorità alimentate da un intenso sfasamento ritmico in Talea, nelle differenti rifrazioni del materiale sonoro originario di Périodes e dall’originale utilizzo del pianoforte che da strumento ingombrante si scioglie per fondersi maggiormente con l’organico strumentale di Vortex Temporum. Le proiezioni video di Andrew Quinn reagiscono in tempo reale alle interessanti sollecitazioni sonore pensate da Grisey e qui affidate dall’Ensemble Orchestral Contemporain diretto dal suo fondatore Daniel Kawka, oggi alla guida dell’Orchestra Regionale Toscana, che avremo presto il piacere di riascoltare a Padova alla lezione sulla musica di Mozart tenuta da Salvatore Sciarrino e nel concerto sinfonico che apre la stagione musicale dell’Orchestra di Padova e del Veneto, Il suono molteplice. Così la musica di Grisey riporta l’interesse di una Biennale che, leone d’oro a parte, ha rischiato di apparire un po' assopita.
Al confuso riferimento alla musica di Beethoven racchiuso in Gegenliebe (2011) di Sylvano Bussotti, sembra corrispondere l’essenza della nuova commissione che la Biennale ha affidato a Luca Mosca, in cui il titolo (Nothing) descrive perfettamente la successione stilistica dei vari momenti musicali che instancabilmente si affannano al canto del soprano sostenuto dal fischio del mezzosoprano, o viceversa. Mentre Michele dall’Ongaro edifica con abilità le sonorità patinate di Checkpoint , Azio Corghi ripropone in un suo brano storico il rapporto tra lo strumento solista e l’orchestra d’archi. Tra tutti, spicca brillantemente Più mosso di Giacomo Manzoni, presentato qui in prima esecuzione italiana, in cui i due pianoforti sostengono e amplificano il discorso avviato dall’orchestra d’archi, spesso con risvolti profondamente drammatici, dovuti anche alla sensibilità del Duo Alberti - D’Errico nel saper approfondire sulla tastiera il gesto strumentale, amplificandolo.
Su questa base, il Portrait Gérard Grisey si presenta come uno degli appuntamenti più radicali di tutto il festival. Lo testimonia l’affluenza di pubblico che, tolti i compositori presenti in sala al concerto dell’Opv con il relativo seguito di fan, come da tradizione ha potuto contare su un esiguo numero di ascoltatori - perché si sa, la musica contemporanea è destinata a un pubblico di nicchia - ma non per questo meno caloroso. Nonostante siano passati ormai diversi anni e diversi ascolti di vario tipo, la musica di Grisey sembra custodire vivacemente la freschezza del suo piglio esplorativo nell’ambito dell’analisi dei fenomeni fisici del suono, suscitati da un provocatorio contrasto di sonorità alimentate da un intenso sfasamento ritmico in Talea, nelle differenti rifrazioni del materiale sonoro originario di Périodes e dall’originale utilizzo del pianoforte che da strumento ingombrante si scioglie per fondersi maggiormente con l’organico strumentale di Vortex Temporum. Le proiezioni video di Andrew Quinn reagiscono in tempo reale alle interessanti sollecitazioni sonore pensate da Grisey e qui affidate dall’Ensemble Orchestral Contemporain diretto dal suo fondatore Daniel Kawka, oggi alla guida dell’Orchestra Regionale Toscana, che avremo presto il piacere di riascoltare a Padova alla lezione sulla musica di Mozart tenuta da Salvatore Sciarrino e nel concerto sinfonico che apre la stagione musicale dell’Orchestra di Padova e del Veneto, Il suono molteplice. Così la musica di Grisey riporta l’interesse di una Biennale che, leone d’oro a parte, ha rischiato di apparire un po' assopita.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
Successo al Teatro del Maggio per la vilipesa Mavra stravinskijana abbinata all’intramontabile Gianni Schicchi