Quelle Nozze un po' grottesche
Mozart al Festival di Spoleto
Recensione
classica
L'anno scorso Così fan tutte, quest'anno Le Nozze di Figaro, l'anno prossimo Don Giovanni. Il Festival dei 2 Mondi ha scelto di partire dall'opera relativamente più semplice della trilogia Mozart-Da Ponte, ma è stata una "inutile precauzione", direbbe il Figaro rossiniano, poiché - dopo che l'anno scorso era andato tutto bene, con una messa in scena tradizionale ma non banale, che dava all'azione un andamento naturale ed equilibrato - l'esito delle Nozze di Figaro non è stato dei più felici. Eppure lo spettacolo era affidato a nomi importanti: per le scene Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, vincitori per ben tre volte del premio Oscar, per i costumi Maurizio Galante, designer molto noto nel mondo dell'alta moda, per le luci A.J. Weissbard, che lavora ai massimi livelli nel campo del teatro, della moda e dell'arte.
La regia era nelle mani del padrone di casa, Giorgio Ferrara, che ha cominciato a dedicarsi all'opera tardi, quando è diventato direttore artistico del festival, ma con risultati finora apprezzabili. Ma qualcosa questa volta non ha funzionato. A dare l'idea della discutibile messa in scena basterebbero alcuni dettagli apparentemente minimi: il volto coperto da uno spesso strato di biacca e gli occhi pesantemente truccati del Conte, la strana parrucca a striature bianche e nere di Figaro, rigida come un elmetto, il cappello a cono di Cherubino, che ricordava irresistibilmente Pinocchio. Si andava insomma nella direzione contraria alla naturalezza e alla concretezza che rendono i personaggi delle Nozze nuovi e diversi dai tipi della vecchia opera buffa e li si rendeva innaturali, esagerati, perfino grotteschi. L'apice era raggiunto da Cherubino, tanto che è legittimo il dubbio che si sia voluto renderlo a bella posta ridicolo e antipatico: un insopportabile adolescente smanioso, cha da una parte bamboleggia come un bambino e dall'altra pensa solo a correre appresso a tutte le donne del palazzo e non promette affatto bene.
James Conlon teneva saldamente in mano la barra dell'esecuzione musicale, cui contribuivano la concentrata e precisa Orchestra Giovanile "Luigi Cherubini" e un gruppo di cantanti anch'essi per la maggior parte giovani. Convinceva pienamente la canadese Lucia Cesaroni, brillante e spigliata, ma capace pure di cantare con grande sensibilità la sua aria del quarto atto: insomma una Susanna ideale sotto l'aspetto sia vocale che scenico. Sono piaciuti anche Alessandro Luongo (il Conte) e Daniel Giulianini (Figaro), che devono però ulteriormente approfondire i rispettivi personaggi. Invece Davinia Rodriguez era inadeguata alla delicata e impegnativa parte della Contessa e Emily D'Angelo era inadatta non soltanto ai panni - come già detto - ma anche alle note di Cherubino. Generalmente ben realizzati i personaggi minori, tra cui meritano una particolare citazione il Bartolo di Luca Dall'Amico, la Marcellina di Isabel De Paoli, il Basilio di Matteo Falcier, il Curzio di Giorgio Trucco e l'Antonio di Miguel Angel Zapater.
Il successo è stato comunque caloroso ed è un segnale positivo della fiducia del pubblico riconquistata dal festival in questi ultimi anni dopo un periodo piuttosto grigio. Fino al 10 luglio sono in programma a Spoleto vari concerti, ma anche alcuni spettacoli del ricco cartellone teatrale presentano interessanti risvolti musicali. È il caso di Tre risvegli di Patrizia Cavalli, che mette in scena i risvegli di una giovane donna, ogni volta diversi a causa dell'interazione di ormoni e condizioni climatiche: un testo surreale, tragico, ironico, recitato da Alba Rohrwacher, con la regia di Mario Martone. Le notti che precedono i risvegli sono affidate alla musica di Silvia Colasanti, che ha scritto tre brani per quartetto d'archi e percussioni. Come sempre la musica della compositrice romana unisce rigore stilistico e sensibilità, trovando una propria via tra modernità e tradizione (indubbiamente ha meditato con attenzione gli ultimi quartetti di Beethoven e quelli di Bartok) e raggiungendo forti suggestioni espressive. I tre brani, che funzionerebbero benissimo anche in sala da concerto, sono stati eseguiti in modo inappuntabile dal Quartetto Guadagnini e dal percussionista Nino Errera.
La regia era nelle mani del padrone di casa, Giorgio Ferrara, che ha cominciato a dedicarsi all'opera tardi, quando è diventato direttore artistico del festival, ma con risultati finora apprezzabili. Ma qualcosa questa volta non ha funzionato. A dare l'idea della discutibile messa in scena basterebbero alcuni dettagli apparentemente minimi: il volto coperto da uno spesso strato di biacca e gli occhi pesantemente truccati del Conte, la strana parrucca a striature bianche e nere di Figaro, rigida come un elmetto, il cappello a cono di Cherubino, che ricordava irresistibilmente Pinocchio. Si andava insomma nella direzione contraria alla naturalezza e alla concretezza che rendono i personaggi delle Nozze nuovi e diversi dai tipi della vecchia opera buffa e li si rendeva innaturali, esagerati, perfino grotteschi. L'apice era raggiunto da Cherubino, tanto che è legittimo il dubbio che si sia voluto renderlo a bella posta ridicolo e antipatico: un insopportabile adolescente smanioso, cha da una parte bamboleggia come un bambino e dall'altra pensa solo a correre appresso a tutte le donne del palazzo e non promette affatto bene.
James Conlon teneva saldamente in mano la barra dell'esecuzione musicale, cui contribuivano la concentrata e precisa Orchestra Giovanile "Luigi Cherubini" e un gruppo di cantanti anch'essi per la maggior parte giovani. Convinceva pienamente la canadese Lucia Cesaroni, brillante e spigliata, ma capace pure di cantare con grande sensibilità la sua aria del quarto atto: insomma una Susanna ideale sotto l'aspetto sia vocale che scenico. Sono piaciuti anche Alessandro Luongo (il Conte) e Daniel Giulianini (Figaro), che devono però ulteriormente approfondire i rispettivi personaggi. Invece Davinia Rodriguez era inadeguata alla delicata e impegnativa parte della Contessa e Emily D'Angelo era inadatta non soltanto ai panni - come già detto - ma anche alle note di Cherubino. Generalmente ben realizzati i personaggi minori, tra cui meritano una particolare citazione il Bartolo di Luca Dall'Amico, la Marcellina di Isabel De Paoli, il Basilio di Matteo Falcier, il Curzio di Giorgio Trucco e l'Antonio di Miguel Angel Zapater.
Il successo è stato comunque caloroso ed è un segnale positivo della fiducia del pubblico riconquistata dal festival in questi ultimi anni dopo un periodo piuttosto grigio. Fino al 10 luglio sono in programma a Spoleto vari concerti, ma anche alcuni spettacoli del ricco cartellone teatrale presentano interessanti risvolti musicali. È il caso di Tre risvegli di Patrizia Cavalli, che mette in scena i risvegli di una giovane donna, ogni volta diversi a causa dell'interazione di ormoni e condizioni climatiche: un testo surreale, tragico, ironico, recitato da Alba Rohrwacher, con la regia di Mario Martone. Le notti che precedono i risvegli sono affidate alla musica di Silvia Colasanti, che ha scritto tre brani per quartetto d'archi e percussioni. Come sempre la musica della compositrice romana unisce rigore stilistico e sensibilità, trovando una propria via tra modernità e tradizione (indubbiamente ha meditato con attenzione gli ultimi quartetti di Beethoven e quelli di Bartok) e raggiungendo forti suggestioni espressive. I tre brani, che funzionerebbero benissimo anche in sala da concerto, sono stati eseguiti in modo inappuntabile dal Quartetto Guadagnini e dal percussionista Nino Errera.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
classica
classica
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln