Music Meeting 2: Jazz Interplay
Da Steve Lehman ai documentari, seconda puntata dal festival olandese
Recensione
jazz
Da sempre il Music Meeting favorisce incontri e prospettive musicali originali. Non poteva mancare, quindi, quest’anno a Nijmegen l’ottetto guidato dal sassofonista Steve Lehman. Il Meeting ha chiesto a Lehman quale film gli sarebbe piaciuto condividere con il pubblico nell’apposito spazio Movie e Lehman non ha avuto dubbi nell’indicare Jackie McLean on Mars girato nel 1979 da Ken Levis.
In genere il festival propone solo pellicole recenti, ma questa volta ha fatto un’eccezione. Ottima chiave d’entrata, McLean, per avvicinarsi ai quintetti e all’ottetto di Lehman. E poi: non era proprio McLean fra i protagonisti del sestetto di Evolution guidato da Grachan Moncur III che suggerisce la base strumentale (aggiungendo tenore e tuba) dell’ottetto di Lehman? Ecco allora confluire nell’ottetto musicisti già protagonisti delle registrazioni in quintetto del 2004 (Artificial Light) e del 2007 (On Meaning). Non è un caso che vari compagni di Lehman sul palco di Nijmegen, Mark Shim (tenore), Chris Dingman (vibrafono), Jonathan Finlayson (tromba), Tyshawn Sorey (batteria), siano musicisti con cui collabora da una decina d’anni prima nei quintetti e quindi nell’ottetto che ha inciso il pluripremiato Mise en Abîme. Una batteria granitica e sette strumenti armonico-melodici per indagare una musica che swinga e al tempo stesso rimane “statica” e che rimanda alle intuizioni ”spettrali”, attente ai microtoni, di Gérard Grisey e Tristan Murail, compositori con cui hanno familiarità anche Finlayson e Tim Albright (trombone). Sia durante il sound-check, sia sul palco al coperto Apollo, il gruppo ha dimostrato grande intesa e affiatamento, per un’ora di musica intensa che il pubblico ha molto apprezzato. Ma il compassato Lehman non è musicista che si risparmi: appena terminato il concerto eccolo prodursi in un’intervista e in due brani in solitudine nella Lounge del festival, incantando i presenti con una dimostrazione delle esplorazioni armoniche che è solito compiere sul suo sax alto (cominciando senza ancia per finire con alcuni minuti di respirazione circolare) e con una serie di variazioni su temi di Coltrane che ne mettono a nudo un insolito lato melodico.
Ben diversi i volumi, sempre al massimo, del batterista Mark Guiliana che nel cartellone del Meeting compariva tre volte, alla guida di un workshop, col progetto Beat Music e, infine, con Mehliana, in duo con Brad Mehldau. Tutti progetti molto graditi dal pubblico, specie quello preparato a volumi molto alti perché la batteria di Guiliana, molto interessante quanto a variazioni e soluzioni ritmiche, suona solo nella gamma forte-fortissimo. Non ne risente il quartetto Beat Music che in fondo esplora un’estetica dance-floor, con il basso elettrico di Chris Morrisey in bella evidenza; meno convincente è apparso l’interplay con Mehldau, alle prese con un ampio ventaglio di tastiere che include Rhodes e sintetizzatori (non tutti intonati allo stesso modo). Sapiente architetto di traiettorie armoniche, Mehldau sembra qui spendere molto, ma raccogliere relativamente poco, complice forse la mancanza di maggiore elasticità riguardo alle dinamiche di volume.
Come sempre, la tenda allestita per ospitare documentari musicali al festival, il Movie Meeting, ha riservato piacevoli sorprese, a cominciare dalla ri-proposta del citato Jackie McLean on Mars Nel profondo Texas si svolge invece The Jones Family Will Make a Way, documentario di Alan Berg appena uscito sulle dinamiche familiari della band gospel recentemente prodotta da Jim Eno e molto discussa per i concerti al di fuori delle sedi religiose.
Introvabile, ma non per il Meeting, il medio-metraggio Frank Emilio, Amor y Piano (BIS Music) realizzato dal cubano Pavel Giroud nel 2005. Appena montato è Waro Déor, che documenta la tournée europea di aprile e maggio 2014 di Daniel Waro e ne ricostruisce il percorso politico e musicale a partire dagli anni di carcere in cui ha preso consapevolezza del suo rapporto con la Moloya, i canti sulle poliritmie della Réunion che oggi costituiscono il repertorio del suo trascinante quintetto. Non meno affascinante (ma per ora introvabile) Barmer Boys - A journey with the band to their home in the Thar Desert, di Ankur Malhotra (2015): 20 minuti per entrare nel mondo di un trio che è anche una porta d’entrata per l’India. Impagabile vederli scambiare idee e strumenti percussivi al Meeting con i Tinariwen…
In genere il festival propone solo pellicole recenti, ma questa volta ha fatto un’eccezione. Ottima chiave d’entrata, McLean, per avvicinarsi ai quintetti e all’ottetto di Lehman. E poi: non era proprio McLean fra i protagonisti del sestetto di Evolution guidato da Grachan Moncur III che suggerisce la base strumentale (aggiungendo tenore e tuba) dell’ottetto di Lehman? Ecco allora confluire nell’ottetto musicisti già protagonisti delle registrazioni in quintetto del 2004 (Artificial Light) e del 2007 (On Meaning). Non è un caso che vari compagni di Lehman sul palco di Nijmegen, Mark Shim (tenore), Chris Dingman (vibrafono), Jonathan Finlayson (tromba), Tyshawn Sorey (batteria), siano musicisti con cui collabora da una decina d’anni prima nei quintetti e quindi nell’ottetto che ha inciso il pluripremiato Mise en Abîme. Una batteria granitica e sette strumenti armonico-melodici per indagare una musica che swinga e al tempo stesso rimane “statica” e che rimanda alle intuizioni ”spettrali”, attente ai microtoni, di Gérard Grisey e Tristan Murail, compositori con cui hanno familiarità anche Finlayson e Tim Albright (trombone). Sia durante il sound-check, sia sul palco al coperto Apollo, il gruppo ha dimostrato grande intesa e affiatamento, per un’ora di musica intensa che il pubblico ha molto apprezzato. Ma il compassato Lehman non è musicista che si risparmi: appena terminato il concerto eccolo prodursi in un’intervista e in due brani in solitudine nella Lounge del festival, incantando i presenti con una dimostrazione delle esplorazioni armoniche che è solito compiere sul suo sax alto (cominciando senza ancia per finire con alcuni minuti di respirazione circolare) e con una serie di variazioni su temi di Coltrane che ne mettono a nudo un insolito lato melodico.
Ben diversi i volumi, sempre al massimo, del batterista Mark Guiliana che nel cartellone del Meeting compariva tre volte, alla guida di un workshop, col progetto Beat Music e, infine, con Mehliana, in duo con Brad Mehldau. Tutti progetti molto graditi dal pubblico, specie quello preparato a volumi molto alti perché la batteria di Guiliana, molto interessante quanto a variazioni e soluzioni ritmiche, suona solo nella gamma forte-fortissimo. Non ne risente il quartetto Beat Music che in fondo esplora un’estetica dance-floor, con il basso elettrico di Chris Morrisey in bella evidenza; meno convincente è apparso l’interplay con Mehldau, alle prese con un ampio ventaglio di tastiere che include Rhodes e sintetizzatori (non tutti intonati allo stesso modo). Sapiente architetto di traiettorie armoniche, Mehldau sembra qui spendere molto, ma raccogliere relativamente poco, complice forse la mancanza di maggiore elasticità riguardo alle dinamiche di volume.
Come sempre, la tenda allestita per ospitare documentari musicali al festival, il Movie Meeting, ha riservato piacevoli sorprese, a cominciare dalla ri-proposta del citato Jackie McLean on Mars Nel profondo Texas si svolge invece The Jones Family Will Make a Way, documentario di Alan Berg appena uscito sulle dinamiche familiari della band gospel recentemente prodotta da Jim Eno e molto discussa per i concerti al di fuori delle sedi religiose.
Introvabile, ma non per il Meeting, il medio-metraggio Frank Emilio, Amor y Piano (BIS Music) realizzato dal cubano Pavel Giroud nel 2005. Appena montato è Waro Déor, che documenta la tournée europea di aprile e maggio 2014 di Daniel Waro e ne ricostruisce il percorso politico e musicale a partire dagli anni di carcere in cui ha preso consapevolezza del suo rapporto con la Moloya, i canti sulle poliritmie della Réunion che oggi costituiscono il repertorio del suo trascinante quintetto. Non meno affascinante (ma per ora introvabile) Barmer Boys - A journey with the band to their home in the Thar Desert, di Ankur Malhotra (2015): 20 minuti per entrare nel mondo di un trio che è anche una porta d’entrata per l’India. Impagabile vederli scambiare idee e strumenti percussivi al Meeting con i Tinariwen…
Waro Déor - Teaser from BLABLA PROD on Vimeo.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
jazz
A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati
jazz
Il Bobo Stenson Trio ha inaugurato con successo la XXIX edizione del festival ParmaJazz Frontiere
jazz
Si chiude la stagione di Lupo 340 al Lido di Savio di Ravenna, in attesa di Area Sismica