Il sipario di Ronconi
Il regista e il mondo dell'opera
Recensione
classica
La carrozza di Faust che vola sopra i campi di grano, Elina Makropulos lassù in alto a dominare tutta la scena, il lungo tavolo del banchetto di Macbeth, il gigantesco cavallo di Fetonte, Calaf in frac che si aggira tra le sedie rosse vuote, Lord Sidney che attraversa tutta la sala con un mazzo di fiori in mano, la platea del Teatro Goldoni che si riempie piano piano d’acqua … ogni spettatore che abbia visto un’opera con la regia di Luca Ronconi ha un suo ricordo personale, un’immagine che da quel momento è rimasta indissolubilmente legata a quello spettacolo. Dal 1967 quando debuttò come regista lirico (quasi per caso, perché la compagnia Fantoni - Fortunato, della quale era il regista, doveva mettere in scena il dittico Giovanna d’Arco al rogo/Arlecchino al Teatro Nuovo di Torino) fino all’ultima regia lirica: Lucia di Lammermoor che andrà in scena il 31 marzo all’Opera di Roma, Ronconi ha cambiato il modo di mettere in scena un’opera. All’inizio loggionisti e melomani intransigenti non gli perdonavano le macchine sceniche, i posti improbabili dove collocava i cantanti, i costi eccessivi degli spettacoli e allora nacque, erano gli anni Settanta, il termine “ronconata”, era il dispregiativo usato nei foyer per dire che quello spettacolo era macchinoso e dispendioso. Poi anche gli spettatori più rigidi capirono che le scene, le prospettive diverse, i carrelli teatrali erano un mezzo, non un fine, erano il modo per raccontare l’opera in modo nuovo, per spingere lo spettatore a interrogarsi, a scoprire nuove visioni. Così andare a vedere uno spettacolo di Ronconi voleva dire tuffarsi in un’avventura unica, il mondo fuori non esisteva più, per quelle due, tre, quattro ore, c’eri solo tu immerso in quel mondo bellissimo e avresti voluto che il sipario non calasse mai.
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classica
classica
A Roma, prima con i complessi di Santa Cecilia, poi con Vokalensemble Kölner Dom e Concerto Köln