Pare che in giro ci sia voglia di outsider: personaggi capaci di esercitare cioè il fascino trasandato dei perdenti. Provare ammirazione per gli artisti dotati che hanno meritatamente successo, o al contrario esecrare quelli senza qualità favoriti dalle irrazionali incongruenze del consumo di massa, è in qualche modo banale. Dedicare invece attenzione e affetto agli eroi minori, nascosti fra le pieghe della storia e altrimenti condannati all'oblio, per certi versi ha quasi un valore etico. E magari aiuta a ritrovare le motivazioni profonde che ci spingono verso la musica e attribuiscono a essa una funzione determinante nelle relazioni umane: un po' come avviene nel capitolo conclusivo de Il tempo è un bastardo di Jennifer Egan, intitolato non a caso "Linguaggio puro", dove le varie vicende del romanzo confluiscono simbolicamente nel concerto di Scotty Hausmann, drop out estraniato da qualsiasi canale di comunicazione digitale. Induce questo genere di riflessioni il concomitante riaffiorare alla superficie dell'attualità per via cinematografica di due figure che aderiscono perfettamente a quell'identikit.
Searching for Sugar Man è un documentario ormai affermato: dopo le onorificenze conquistate nella penultima edizione del Sundance Film Festival, di recente è stato insignito addirittura dei premi Oscar e Bafta (British Academy of Film and Television Arts) nella categoria specifica. Presentato in anteprima nazionale il mese scorso a Bologna, durante il Biografilm Festival, il lavoro firmato dal regista svedese Malik Bendjelloul racconta l'incredibile storia (vera) della riscoperta di Sixto Diaz Rodriguez: misconosciuto cantautore di Detroit divenuto a sua insaputa una star in Sudafrica. Là - per chissà quale bizzarria del destino - attecchirono e si diffusero attraverso il passaparola, raggiungendo a lungo andare il rango di best seller e influenzando persino la crescita del movimento antiapartheid, i due dischi da lui realizzati al principio degli anni Settanta, Cold Fact e Coming from Reality, pressoché ignorati in patria. A mettersi sulle sue tracce, un paio di decenni più tardi, sono stati due appassionati sudafricani, Stephen Segerman e Craig Bartholomew Strydom, come altri connazionali curiosi di conoscere la sorte di quell'artista scomparso dalle cronache musicali e da alcuni dato per morto, suicida alla fine di un concerto o di overdose in carcere. In realtà Rodriguez era vivo e vegeto, e continuava a fare il lavoro con cui da sempre sbarcava il lunario: smantellare e ristrutturare case. Con la musica aveva chiuso. Finché arrivarono Segerman e Strydom, che lo convinsero a riprendere in mano la chitarra e a esibirsi in Sudafrica, dove nel 1998 venne accolto come un divo. Searching for Sugar Man (dal titolo del brano che apre Cold Fact, "Sugar Man") rievoca quella romantica caccia all'uomo e nel contempo abbozza il ritratto di un individuo fuori dal tempo e dagli schemi. E dire che - nelle parole di Dennis Coffey, coproduttore di Cold Fact - «l'unico autore che a quei tempi sapeva scrivere così bene era forse Bob Dylan...».
E a proposito del signor Zimmermann: è noto che una volta arrivato a New York, all'inizio del 1961, cominciò a frequentare immediatamente la cerchia di bohémien che faceva capo a Dave Van Ronk, il "sindaco di MacDougal Street". È stato ispirandosi al volume di memorie uscito postumo otto anni fa e intitolato appunto The Mayor of MacDougal Street che Joel ed Ethan Coen hanno dato forma a Inside Llewyn Davis [in italiano reso con A proposito di Davis...]: film insignito a fine maggio del Grand Prix al festival di Cannes. Il protagonista - interpretato da Oscar Isaac - è un folksinger che, per quanto ribattezzato con altre generalità, ricalca piuttosto fedelmente il profilo biografico di Van Ronk, morto il 10 gennaio 2002, all'età di 65 anni. La scena hipster del Greenwich Village, imperniata su posti quali il Cafe Wha? (dove Dylan tenne il suo primo concerto e si esibivano regolarmente i vari Tom Paxton, Ramblin' Jack Elliott, Phil Ochs e una giovanissima Joni Mitchell) e il Gaslight Cafe (sede dei reading di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e Jack Kerouac), entrambi situati in MacDougal Street, gravitava intorno alla sua figura imponente e carismatica. Con un repertorio in cui si alternavano standard del ragtime e del blues, reliquie del folk britannico e canzoni di Kurt Weill e Bertolt Brecht, che lui interpretava con voce roca e tenorile, Van Ronk definì sommariamente i canoni a cui per qualche tempo si attenne l'esordiente Dylan. E tuttavia la sua fama è rimasta segregata in una ristretta conventicola di conoscitori e addetti ai lavori, né i tardivi riconoscimenti ufficiali (il Lifetime Achivement Award assegnatogli nel 1997 dall'American Society of Composers, Authors and Publishers, ad esempio) sono valsi ad affermarne la statura artistica su più larga scala. Accadrà magari ora, grazie a Inside Llewyn Davis: meglio tardi che mai, come suol dirsi.
(articolo pubblicato su "il giornale della musica" 305, luglio 2013)
Searching for Sugar Man è un documentario ormai affermato: dopo le onorificenze conquistate nella penultima edizione del Sundance Film Festival, di recente è stato insignito addirittura dei premi Oscar e Bafta (British Academy of Film and Television Arts) nella categoria specifica. Presentato in anteprima nazionale il mese scorso a Bologna, durante il Biografilm Festival, il lavoro firmato dal regista svedese Malik Bendjelloul racconta l'incredibile storia (vera) della riscoperta di Sixto Diaz Rodriguez: misconosciuto cantautore di Detroit divenuto a sua insaputa una star in Sudafrica. Là - per chissà quale bizzarria del destino - attecchirono e si diffusero attraverso il passaparola, raggiungendo a lungo andare il rango di best seller e influenzando persino la crescita del movimento antiapartheid, i due dischi da lui realizzati al principio degli anni Settanta, Cold Fact e Coming from Reality, pressoché ignorati in patria. A mettersi sulle sue tracce, un paio di decenni più tardi, sono stati due appassionati sudafricani, Stephen Segerman e Craig Bartholomew Strydom, come altri connazionali curiosi di conoscere la sorte di quell'artista scomparso dalle cronache musicali e da alcuni dato per morto, suicida alla fine di un concerto o di overdose in carcere. In realtà Rodriguez era vivo e vegeto, e continuava a fare il lavoro con cui da sempre sbarcava il lunario: smantellare e ristrutturare case. Con la musica aveva chiuso. Finché arrivarono Segerman e Strydom, che lo convinsero a riprendere in mano la chitarra e a esibirsi in Sudafrica, dove nel 1998 venne accolto come un divo. Searching for Sugar Man (dal titolo del brano che apre Cold Fact, "Sugar Man") rievoca quella romantica caccia all'uomo e nel contempo abbozza il ritratto di un individuo fuori dal tempo e dagli schemi. E dire che - nelle parole di Dennis Coffey, coproduttore di Cold Fact - «l'unico autore che a quei tempi sapeva scrivere così bene era forse Bob Dylan...».
E a proposito del signor Zimmermann: è noto che una volta arrivato a New York, all'inizio del 1961, cominciò a frequentare immediatamente la cerchia di bohémien che faceva capo a Dave Van Ronk, il "sindaco di MacDougal Street". È stato ispirandosi al volume di memorie uscito postumo otto anni fa e intitolato appunto The Mayor of MacDougal Street che Joel ed Ethan Coen hanno dato forma a Inside Llewyn Davis [in italiano reso con A proposito di Davis...]: film insignito a fine maggio del Grand Prix al festival di Cannes. Il protagonista - interpretato da Oscar Isaac - è un folksinger che, per quanto ribattezzato con altre generalità, ricalca piuttosto fedelmente il profilo biografico di Van Ronk, morto il 10 gennaio 2002, all'età di 65 anni. La scena hipster del Greenwich Village, imperniata su posti quali il Cafe Wha? (dove Dylan tenne il suo primo concerto e si esibivano regolarmente i vari Tom Paxton, Ramblin' Jack Elliott, Phil Ochs e una giovanissima Joni Mitchell) e il Gaslight Cafe (sede dei reading di Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e Jack Kerouac), entrambi situati in MacDougal Street, gravitava intorno alla sua figura imponente e carismatica. Con un repertorio in cui si alternavano standard del ragtime e del blues, reliquie del folk britannico e canzoni di Kurt Weill e Bertolt Brecht, che lui interpretava con voce roca e tenorile, Van Ronk definì sommariamente i canoni a cui per qualche tempo si attenne l'esordiente Dylan. E tuttavia la sua fama è rimasta segregata in una ristretta conventicola di conoscitori e addetti ai lavori, né i tardivi riconoscimenti ufficiali (il Lifetime Achivement Award assegnatogli nel 1997 dall'American Society of Composers, Authors and Publishers, ad esempio) sono valsi ad affermarne la statura artistica su più larga scala. Accadrà magari ora, grazie a Inside Llewyn Davis: meglio tardi che mai, come suol dirsi.
(articolo pubblicato su "il giornale della musica" 305, luglio 2013)