The Tallest Man On Earth
Dark Bird Is Home
Dead Oceans
Christopher Paul Stelling
Labor Against Waste
ANTI-
Kacey Musgraves
Pageant Material
Mercury
Tra le cose più interessanti che può vedere un appassionato di musica in questo periodo a New York c'è una mostra: si svolge fino al 29 novembre, al Museum of the City of New York (sulla 5th Avenue) e si intitola Folk City: New York and the Folk Music Revival, a cui è anche abbinato un omonimo libro ricco di immagini (gli autori sono Stephen Petrus e Ronald D. Cohen).
Il tema dell'esibizione è, come potete immaginare, il ruolo che ha avuto negli anni Cinquanta e Sessanta la grande metropoli statunitense (e soprattutto il suo Greenwich Village) nel recuperare e valorizzare una tradizione niente affatto urbana ma assolutamente rurale come quella della musica folk. Insomma, quello straordinario microcosmo che i fratelli Coen hanno recentemente celebrato nel loro A proposito di Davis. Così, nella mostra (e nel libro), potete trovare oggetti, immagini, manifesti, strumenti musicali legati ad artisti come Pete Seeger, Odetta, Lead Belly, Eric Andersen, Phil Ochs e ovviamente Bob Dylan.
Ispirati da questo evento culturale, ci permettiamo di parlarvi di alcuni nuovi album che potremmo globalmente definire "folk" e che ci hanno colpito particolarmente. Iniziamo proprio con un cantautore che dal suono del Greenwich Village anni Sessanta ha sempre tratto ispirazione, richiamandosi - via Bob Dylan - ad artisti del passato come Robert Johnson e Woody Guthrie. Si chiama Kristian Mattson, usa uno pseudonimo divertente ("L'uomo più alto del mondo") e - a sorpresa - viene dalla provincia di Dalarna, nella Svezia centrale.
Armato spesso e volentieri della sola chitarra acustica (o del banjo) e di una bella voce nasale e un po' rauca, è diventato uno dei nostri beniamini fin dall'album di debutto quasi lo-fi, Shallow Grave (2008), e soprattutto grazie al successivo, il magnifico The Wild Hunt (se non lo conoscete, vi preghiamo, recuperate almeno il pezzo "King of Spain"). Dark Bird Is Home è il suo quarto lavoro, il più ricco da un punto di vista musicale, a tre anni da There's No Leaving Now, dove già gli arrangiamenti avevano iniziato ad essere meno scarni e minimali. Registrato col produttore BJ Burton (Megafaun, Volcano Choir, S. Carey) tra la sua casa in Svezia e il Wisconsin (ospite: Mike Noyce dei Bon Iver) e scritto in giro per il mondo, racconta di viaggi, di distanze e di lontananza, di relazioni interrotte (compresi il suo matrimonio fallito e un grave lutto in famiglia) e lo fa con brani dove si incontrano ottimismo e molta malinconia, il talentuoso fingerpicking di Mattson e tessiture sonore inusualmente complesse e ricche che comprendono piano, synth, archi, fiati e persino, in alcuni brani, percussioni.
Dieci pezzi uno più bello dell'altro che, se hanno ricordato a qualcuno Jackson Browne, Bruce Springsteen e persino i Dire Straits, a noi sono semplicemente sembrati il naturale sviluppo di una storia musicale coerente e personale (nel tour, che il 15 ottobre toccherà Milano, Mattson è accompagnato da una vera e propria band). I nostri preferiti: "Slow Dance", "Sagres" (dedicato alla località portoghese), "Dark Bird Is Home" e soprattutto la bellissima "Timothy", dove un clarinetto colora di tristezza la solo apparente allegria.
Anche Christopher Paul Stelling è un cantautore folk innamorato della tecnica del fingerpicking, che ha imparato ascoltando vecchie glorie del passato come il banjoista Dock Boggs o chitarristi come Skip James, John Fahey naturalmente e soprattutto il suo preferito: Dave Van Ronk (1936-2002). Vive a Brooklyn ma è originario della Florida: questo Labor Against Waste è il terzo album, il primo per un'etichetta importante, la stessa di Tom Waits. I suoi brani appassionati, malinconici ma mai disperati, mescolano temi spirituali a questioni molto umane e sono un invito a vivere la vita lasciando perdere le cose più futili. Al centro di tutto la sua voce intensa e soprattutto la chitarra, a cui si intrecciano con discrezione banjo, armonica, archi (violino, violoncello), ottoni (corno e flicorno), qualche rara percussione e la bella voce di Julia Christgau. Dieci pezzi nati quasi tutti on the road, vista la sua intensa attività live, che si muovono tra folk, blues, country, bluegrass e persino flamenco. Basterebbero "Warm Enemy" (metafora di una triste vita comoda), l'epica "Death of Influence" e "Too Far North" per rendere Stelling un nome da tenere d'occhio da ora in poi.
Con ci spostiamo da un punto di vista geografico in Texas e - da quello musicale - in territorio country. Per il suo quinto album (il secondo per una major) ha scelto lo storico RCA Studio A di Nashville, recentemente salvato dalla distruzione e in passato usato da Dolly Parton, Elvis Presley e Beach Boys. Un lavoro attesissimo dopo il successo di Same Trailer Different Park (due Grammy nel 2014: miglior album country e miglior canzone country per il singolo "Merry Go 'Round") che ha suscitato enorme interesse non solo per le capacità vocali e musicali della nostra Kacey, ma anche per il carattere innovativo delle sue piccole storie di provincia, amare e ironiche, che spesso trattavano temi come droga, sesso occasionale e relazioni gay, decisamente inauditi in un genere così tradizionalista come il country.
Frutto ancora una volta della sua collaborazione con Shane McAnally e Luke Laird, Pageant Material conferma la fama di outsider della cantante ventiseienne, non proponendo l'album piacione e commerciale che magari alcuni immaginavano a questo punto della sua carriera, ma quattordici intelligenti pezzi country pop con testi mai banali, dove si interroga sulla propria identità, ora che per certi versi è diventata qualcuno. Chi ama il suono della pedal steel, del banjo e le belle armonie vocali e magari non cessa di riguardarsi Nashville e Radio America di Robert Altman, troverà in quest'album pane per i suoi denti. Ma anche se non avete questa predisposizione, iniziate con pezzi come "Dime Store Cowgirl", "Biscuits" o "Cup of Tea" e capirete l'entusiasmo unanime della critica americana per quella che potrebbe sembrare a prima vista un semplice clone di Taylor Swift. Tra l'altro: il pezzo nascosto finale è una cover di "Are You Sure" di Willie Nelson e la voce maschile che sentite è proprio quella del celebre cantautore country con trecce e bandana.