4AD, da Beirut a Grimes

Due dischi per tenere alto il nome dell'etichetta londinese

Articolo
pop

Grimes
Art Angels
4AD

Beirut
No No No
4AD

Molti lettori meno giovani saranno eternamente grati alla 4AD di Ivo Watts-Russell, perché l'etichetta (fondata a Londra nel 1980) nei suoi primi vent'anni di vita ha fatto loro conoscere artisti del calibro di Cocteau Twins, Dead Can Dance, Breeders, Throwing Muses e Pixies. La cosa sorprendente è che ancora oggi non smette di rinnovarsi, riuscendo a promuovere musicisti decisamente interessanti, come dimostra il suo attuale catalogo ricco di nomi sfiziosi: The National, tUnE-yArDs, Ariel Pink, Deerhunter e Holly Herndon, tanto per nominarne alcuni. Oppure ancora Grimes e Beirut, i cui nuovi album sono appunto l'argomento di quest'articolo.

Se vi siete persi il suo precedente (e acclamato) album, Visions, uscito appunto per la 4AD nel 2012, forse non sapete che Grimes è il nome d'arte di una cantautrice di Vancouver, Claire Boucher. Questo Art Angels è tutta farina del suo sacco: è lei che compone i pezzi, li canta (con una voce davvero notevole e multiforme) e li produce; è lei che suona la chitarra, il violino, l'ukulele, la batteria, il piano e i vari strumenti elettronici. Il risultato è un capolavoro pop, dove attraverso quattordici pezzi si assiste con entusiasmo crescente ad una fantasmagoria di sonorità, dove l'apparente déjà vu si coniuga con la sperimentazione e l'originalità.



Se da un lato, infatti, sembra a momenti di trovarsi nei territori battuti da idoli di Claire come Beyoncé e Mariah Carey, o la stessa Madonna, improvvisamente ci si può imbattere in abbinamenti o particolari bizzarri e toni inquieti e assai poco mainstream, che ci conducono senza soluzione di continuità tra synth pop, dream pop, hip hop, rock, electronica e R&B. Ascoltare per credere tre pezzi bellissimi come "California", "Belly of the Beat" o "Easily" (con un epilogo quasi classico a sorpresa). Oppure lo sfizioso intreccio tra il bubblegum pop degli Aqua (quelli di "Barbie Girl", per intenderci) e toni più aspri in stile Prodigy o Die Antwoord di una traccia come "Kill V. Maim" o la sorprendente "SCREAM", dove propone sonorità da qualcuno definite in bilico fra nu metal e screamo, e lascia il microfono alle rime in mandarino della rapper taiwanese Aristophanes. O ancora i toni femministi di "Venus Fly", con ospite la grande (e sottovalutata) Janelle Monáe. Un concentrato così di divertimento ed intelligenza è davvero molto raro. Impossibile non iscriversi al fan club di Claire.



Beirut è invece lo pseudonimo di Zach Condon, un nostro beniamino fin da quando nel 2006, a soli vent'anni, pubblicò Gulag Orkestar, un delizioso e struggente omaggio alla musica balcanica, conosciuta in modo piuttosto tangenziale in un viaggio ad Amsterdam e ricostruita poi a sua immagine e somiglianza nel suo nativo New Mexico. Un album che, fra l'altro, contribuì a sdoganare presso il pubblico indie USA l'um-pa-pa degli ottoni tipico delle bande di Serbia, Macedonia e dintorni. Da allora, sono arrivati album e EP, dove Zach si è confrontato di volta in volta con la musica degli chansonnier francesi, i suoni delle band per funerali messicane (March of the Zapotec) o il pop elettronico anni ottanta, mantenendo però i toni malinconici (il suo marchio di fabbrica) che gli hanno procurato un seguito non esiguo di ammiratori fedelissimi, a volte in luoghi anche imprevedibili come il Brasile (dove è molto apprezzato).



No No No, il suo quarto album, esce a quattro anni dal precedente (The Rip Tide) ed è frutto di un periodo difficile della sua vita (un ricovero per esaurimento nervoso, un doloroso divorzio). L'ottimismo recentemente ritrovato (anche grazie ad una nuova relazione amorosa) si intreccia alla consueta malinconia dei toni e delle atmosfere, ma il tutto è meno barocco, meno influenzato dalla world music, meno sopra le righe e alla fine - purtroppo - meno convincente del solito. Tra i nove pezzi (per un totale di soli 29'), tutti comunque piacevoli e interessanti, non si può non segnalare "Fener" (dedicato all'omonimo quartiere di Istanbul), la (relativamente) effervescente "Perth" e soprattutto la divertente "No No No" ma nessuno - ad esseri sinceri - colpisce come certi suoi vecchi cavalli di battaglia. Conoscendo Beirut, però, aspettiamo fiduciosi la prossima puntata della sua storia.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

pop

Pop trasversale, da Jlin a Charlie XCX: il best of del 2024

pop

Una raccolta definitiva per (ri)scoprire uno dei chitarristi turnisti più importanti della canzone d'autore italiana

pop

Inediti e rarità per celebrare il musicista, fra canzoni e library music