The Last Shadow Puppets
Everything You’ve Come To Expect
Domino
Nato otto anni fa come passatempo estemporaneo che coinvolgeva Alex Turner, punto focale degli Arctic Monkeys, affiancato nella circostanza dal meno noto Miles Kane, l’esperimento chiamato Last Shadow Puppets ha finito per stabilizzarsi, visto che all’album edito allora – The Age of Understatement – si aggiunge adesso Everything You’ve Come To Expect e in prospettiva i due artisti inglesi alludono addirittura all’eventualità di un terzo episodio.
Se il disco del 2008 aveva le sembianze di un omaggio al pop barocco del giovane Scott Walker, questo nuovo si distanzia da quel modello, per quanto indulga ancora su sonorità che rimandano ai tardi anni Sessanta e ai primi Settanta. Fonti d’ispirazione dichiarate dagli autori: Isaac Hayes e gli Style Council di Paul Weller (a loro volta revivalisti di certa black music d’antan). Verrebbe da pensare, dunque, alla tradizione del cosiddetto blue eyed soul, ossia musica nera resa malinconica dai visi pallidi, ma all’ascolto le sensazioni sono altre. C’è ad esempio un’evidente impronta cinematografica, che negli arrangiamenti della ballata melò “She Does the Woods” riverbera echi di Morricone, con un vibrato di chitarra dall’effetto “tarantiniano” che ricorre pure nell’elegantissima “Miracle Aligner”.
L’orchestrazione d’archi affidata al canadese Owen Pallett, uno dei tratti distintivi dell’opera, ricorda invece il lavoro svolto da Jean-Claude Vannier per il classico di Serge Gainsbourg Histoire de Melody Nelson, come dimostrano “Dracula Teeth” e “”Pattern”. Il repertorio ondeggia fra il languido bolero rock di “Sweet Dreams, TN”, i vaghi accenti esotici di “Used to Be My Girl” e l’energico impulso quasi punk di “Bad Habits”, avendo quale denominatore comune un’inflessione al tempo stesso sofisticata e nostalgica. Benché impostato su un registro cronologico e stilistico lievemente difforme da quello dell’album precedente, Everything You’ve Come To Expect rappresenta anch’esso un esercizio di maniera, con tutto ciò che – nel bene e nel male – implica tale prerogativa.