Rinascimento digitale

Il nuovo lavoro di Tim Hecker: fra antiche polifonie e software di ultima generazione

Articolo
pop

Tim Hecker
Love Streams
4AD

Ha un debole per gli edifici religiosi, dovuto verosimilmente all’infanzia trascorsa in un contesto di stretta osservanza cattolica. Ciò era trapelato già dalla sua musica: ad esempio in Ravedeath, 1972 (2011), dove fonte principale del suono era un organo a canne, che lui stesso aveva suonato dentro la Firkirkjan Church di Reykjavik, in Islanda, rielaborando quindi le registrazioni al computer.

In questa circostanza, invece, lo spunto arriva da Josquin des Prez: compositore franco fiammingo di epoca rinascimentale, definito da Lutero “il padrone delle note”. L’artista canadese si è appropriato di alcune sue polifonie, affidandole all’Icelandic Choir Ensemble diretto da Jóhann Jóhannsson, la cui interpretazione è stata in seguito manipolata con l’impiego del raffinatissimo software Melodyne (usato anche da Björk in Vespertine). Il risultato informa l’ottavo album di Tim Hecker, suo primo per la prestigiosa indipendente londinese 4AD. Intitolato come il penultimo – e struggente – film di John Cassavetes, Love Streams affronta in maniera rivoluzionaria certe modalità tipiche della scena elettronica: dall’ambient music di Eno (in “Up Red Bull Creek”), alla quale conferisce personalità tale da negarne la natura di semplice arredo sonoro, al minimalismo di Reich e Riley (i due movimenti di “Violet Monumental”), corretto con dosi di rumorismo che ne alterano lo stato di ipnotica trasognatezza. Esemplare il caso di “Castrati Stack”, episodio in cui il lirismo mistico di voci e strumenti viene sfregiato da interferenze brutali. In particolare, il processo di frammentazione e ricomposizione artificiale della dimensione armonica del coro finisce per rendere astratto il “fattore umano”: un po’ come nella copertina del disco, dove del coro stesso compare un’immagine sfocata.



“Black Phase”, all’epilogo, rende eloquente quell’intenzione. E tuttavia, rispetto a contemporanei a lui affini per attitudine avant-garde, tipo Ben Frost e Oneohtrix Point Never, con i quali del resto ha collaborato in passato, Tim Hecker comunica maggiore empatia. Per quanto concettuale sia la premessa (parole sue a “The Guardian”: “Faccio musica pagana che danza sulle ceneri di una chiesa bruciata”) e complesso il procedimento realizzativo, all’ascolto Love Streams si rivela un’opera di straordinaria intensità emotiva. Per dirlo con un sostantivo: capolavoro. Usando viceversa un aggettivo: sbalorditivo.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

pop

Una riflessione sulla vita di Quincy Jones, scomparso a 91 anni

pop

Che cosa non perdere (e qualche sorpresa) a C2C 2024, che inizia il 31 ottobre

pop

Fra jazz e pop, un'intervista con la musicista di base a Londra